Primo giorno del Prowein, la grande fiera internazionale di vino che si tiene a Düsseldorf. Dopo un paio di assaggi scoppiettanti nella sezione Der Feinsmecker, una sorta di Gambero Rosso teutonico, ci incamminiamo fiduciosi verso il padiglione numero 1, quello dedicato ai padroni di casa. In mezzo a produttori della Mosella e del Palatinato, spicca un’ampia sezione dedicata ai prodotti senz’alcol: Zero Tasting. In fiera non si parla d’altro, l’apprensione per l’onda analcolica e una nuova consapevolezza sull’alcol è la costante tra i padiglioni, dal Nuovo Mondo alla Vecchia Europa: “Siamo davanti a un nuovo protestantesimo che ha nella battaglia all’alcol la sua missione e nei giovani i suoi discepoli”, ci racconta scherzando, ma non troppo, Gernot Kollmann, uno dei più noti produttori tedeschi. Incuriositi, ci rechiamo nella sezione libera organizzata da Meininger per assaggiare i mosti d’uva non fermentati.
Levi l’alcol e gli zuccheri volano. Impressionano le schede tecniche che accompagnano le bottiglie, il residuo zuccherino medio è tra i 40 e i 70 grammi per litro. E nel bicchiere si sentono davvero tutti, insieme a sentori artificiali e improbabili, dalla gomma alla resina, dominano note verdi e acidità slegate. L’horror gustativo è scandito da esclamazioni che sentiamo ripetute in diverse lingue. I brand sono tutti molto strutturati, abbiamo assaggiato cose più interessanti in altre occasioni e da produttori sicuramente più virtuosi, ma il tema di fondo rimane. Si può davvero pensare di bere un prodotto salutare, solo perché compare uno 0 in eticchetta? L’elevato contenuto di zucchero, in alcuni casi anche superiore a quello di una Coca Cola, non è forse associato a una serie di problemi: obesità, diabete di tipo 2 e malattie cardiache? La sezione bollicine è la più improbabile. Sono bevande molli, magari pensate per essere bevute ghiacciate, ma non si capisce come possano essere associate al cibo. E come possano competere con bevande analcoliche molto più interessati e salutari, a partire da Kombucha, Proxies e Kefir fermentati.
Note di petrolio, gomma americana, bocca dolce, molle e verde. Difficile pensare qualcosa di così cattivo. 38 grammi di zucchero per litro.
58 grammi zucchero e acidità 2.6L: il sogno di tutti gli enologi. Note di caramello, melassa e uva sultantina. Bocca sa di cereali, miele, si aggrappa sulla punta della lingua e non va più via. Nemmeno dopo un bicchiere d’acqua.
Secco de che: 67 grammi di zucchero per litro. Suggestioni chimiche raffinate, poi lemongrass e sedano. Finale tra i peggiori in assoluto, lascia una bocca mostruosamente pesante.
Distillazione tripla, ammonisce l’etichetta. Non siamo riusciti andare oltre i profumi, di cuoio, gomma e stalla.
Prugne della California e zucchero. I 60 grammi di zucchero non sono coperti, freschezza acidità nemmeno. Affatto molle…
Il più acido tra gli assaggi, lamponi acerbi, note erbacee e un finale slegato ma almeno più disteso.
Legno, ciliegia, legno. Bocca di ribes, con un legno dominante che almeno copre altre sensazioni spiacevoli.
Naso plasticoso, alloro, conservanti. Bocca dolce, amara, scissa. Due bicchieri d’acqua più tardi stiamo ancora soffrendo.
“Ho degustato tutto il tempo pensando alla vigna che fa i miracoli per accumulare gli zuccheri, al lavoro dell’enologo per trasformare tutto lo zucchero in alcol e onorare il patrimonio culturale dell’umanità che è l’arte di fare il vino… e poi con una macchinetta togli l’alcol. Ma se non puoi bere alcol, non berlo!!! Dobbiamo fare di tutto affinché la parola vino sia protetta dalla comparazione con lo schifo concettuale e sensoriale che rappresenta sta schifezza di prodotto che non voglio chiamare vino!!!”, chiudiamo con lo sfogo a caldo di un noto enologo italiano all’uscita della sezione.
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