
La XVII edizione de Les Grands Jours de Bourgogne ha portato nella regione vitivinicola francese 3.000 operatori tra buyer, giornalisti e appassionati da 60 nazioni. Protagonista assoluta l’annata 2022 qualitativamente molto buona e, al contrario delle ultime, anche generosa in quanto a rese: rossi ricchi di acidità, ma anche di polpa e profumi, i bianchi freschi, di buona struttura e solari. Tanti operatori esteri per un mercato che negli ultimi anni non ha conosciuto crisi, anzi: nonostante si tratti di un territorio che con i suoi 30.815 ettari vale solo il 4% dell’intero vigneto francese e dove le 3.800 cantine contano mediamente su solo 8 ettari di vigna e riescono a fatturare di media oltre 600mila euro ciascuna.
La chiesa di Saint Claire de Pre?hy immersa nei vigneti di Chablis. In apertura, panorama sulle vigne di Borgogna (foto di Aurelien Ibanez)
Un trend positivo da anni che ha avuto qualche flessione solo per annate dal brutto andamento climatico, come la 2021 che ha fatto diminuire notevolmente la produzione; questo al contrario di quanto accade a Bordeaux dove invece il calo delle vendite ultimamente registrato è da attribuirsi alla minore richiesta globale, tanto da dover ricorrere alla distillazione d’emergenza mentre si incentiva l’estirpazione dei vigneti. «Il mercato dei vini di Borgogna – ci dice Luca Cuzziol, importatore e proprietario della distribuzione che porta il suo nome – negli ultimi vent’anni ha vissuto una vera e propria rivoluzione passando da una distribuzione orientata prevalentemente verso gli Usa a una richiesta globale. Va da sé che rimanendo sostanzialmente invariata la superficie vitata a fronte della crescita della domanda c’è stata una corsa alla speculazione che ha fatto aumentare i prezzi».
Non a caso solo di recente i colossi del lusso e diversi fondi di investimento stanno puntando sulla Borgogna: François Pinault (proprietario dei marchi Gucci, Bottega Veneta e Saint Laurent, di Château Latour a Bordeaux e Château-Grillet in Côtes du Rhône) ha acquisito prima il Domaine d’Eugénie a Vosne-Romanée e poi Clos de Tart, il mitico Grand Cru di soli 7,06 ettari che esiste da ben 900 anni, un’operazione costata circa 200 milioni di euro, più o meno quanto ha speso nel 2014 il suo rivale di sempre, il proprietario di LVHM Bernard Arnault, per comprare un altro Grand Cru di 8 ettari sempre a Morey-Saint Denis, il Clos des Lambrays. Siamo su quotazioni da 25 milioni a ettaro, solo per dare una cifra a chi trova esagerato il milione ad ettaro a Barolo.
Degustazione in vigna al Castello di Clos de Vougeot (foto di Alain_Doire)
È del resto ovvio che, se la richiesta aumenta esponenzialmente, si inneschino fenomeni di speculazione sui vini più iconici al mondo e che, vista l’impossibilità di aumentare la produzione perché le denominazioni sono da secoli strettamente legate alle singole vigne, sono i prezzi ad aumentare. Questo aumento generalizzato dei costi delle bottiglie, però, porta a emergere ad altri territori meno noti: il Mâconnais ad esempio, dove si trovano ancora vini dall’ottimo rapporto prezzo qualità, anche se il recente riconoscimento dello status di Premier Cru per alcune vigne (22 sinora di cui molte a Pouilly-Fuissé) sicuramente farà lievitare il prezzo anche di questi vini. Nonostante tutto, a conferma dell’ottima salute del mercato dei vini di Borgogna c’è pure la crescita del fatturato estero che supera il 60% del totale: oltre al 2% dell’Italia, i principali importatori sono gli USA e il Regno Unito col 36 % a seguire Belgio, Canada e Giappone con un 10% a testa.
Ecco le degustazioni di Borgogna dall’ottimo rapporto qualità/prezzo: così è possibile assaggiare etichette della esclusiva regione vitivinicola francese senza rimetterci lo stipendio di più mesi!
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