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Ridurre le superfici vitate attraverso la zonazione. Il piano per salvare la viticoltura

L'erosione del reddito è uno dei principali problemi con cui i produttori devono fare i conti. Per questo occorre rimettere al centro il concetto di vocazione viticola

  • 16 Gennaio, 2025

Bastano pochi dati per comprendere che la viticoltura del nostro Paese sta attraversando una fase di profondi cambiamenti, forse i più importanti dallo scandalo del metanolo degli anni ’80. Vicino a fenomeni noti da tempo, quali la diminuzione dei consumi interni e il rallentamento delle esportazioni, si evidenziano alcune tendenze che avranno un forte impatto sulle caratteristiche strutturali della viticoltura italiana dei prossimi anni.

I motivi del cambiamento

Le cause sono molteplici e, in parte, vanno ricondotte ai processi di globalizzazione e internazionalizzazione che investono i mercati mondiali del vino e, in parte, alla rigidità del sistema produttivo che caratterizza la coltivazione della vite. Questi scenari, che apparivano fino a qualche tempo fa molto lontani, stanno impattando molto rapidamente sull’economia del vino europeo. Sono sufficienti alcuni indicatori per comprendere la portata di queste affermazioni.

Italia divisa tra grandi e piccole denominazioni

La realtà ci presenta due Italie nettamente distinte, che viaggiano con velocità molto diverse: da un lato, una polarizzazione su quattro-cinque regioni del centro-nord e, dall’altro, quello delle piccole denominazioni, soprattutto delle regioni meridionali, che lentamente perdono consistenza e valore. Alla base del successo delle regioni “forti”, la capacità di “fare squadra”, l’appoggio delle pubbliche amministrazioni, il supporto della ricerca e il ruolo della formazione dei tecnici, ma soprattutto il grande spirito imprenditoriale dei loro operatori. Questo ha favorito il rinnovo e la crescita dei vigneti, gli investimenti in innovazioni viticole e in tecniche di cantina, il potenziamento dell’offerta turistica legata al vino e il ritorno dei giovani in agricoltura.

La sfida climatica

Nelle regioni in declino, si evidenzia in generale un invecchiamento dei vigneti (il 50 % dei vigneti ha un’età media superiore ai 35 anni e il tasso di rinnovo annuale è sotto la soglia di sicurezza per il mantenimento del potenziale viticolo nazionale), la difficoltà a comunicare i valori dei territori e dei vitigni autoctoni all’estero, per mancanza di risorse e per la grande frammentazione delle iniziative di comunicazione, ma è soprattutto la progressiva erosione del reddito dei viticoltori, le vere vittime di questa situazione. Non è facile proporre soluzioni e rimedi, ma è necessario ripartire dalla viticoltura, per renderla più competitiva, anche nei riguardi del cambiamento climatico, sul piano della razionalizzazione delle tecniche di produzione per abbassarne i costi e aumentarne la produttività a ettaro.

Il ritorno alla vocazione viticola

Il tema centrale è però rappresentato dalla necessità di ridurre le eccedenze ma sulle strategie da adottare le posizioni delle organizzazioni dei produttori sono ancora distanti, anche se tutti convergono sulla necessità di riorganizzate il settore attraverso il blocco degli impianti, la riduzione delle rese ad ettaro dei vigneti per vini comuni, la revisione dei disciplinari delle Doc.

A questo riguardo, forse varrebbe la pena di ripensare al significato della parola vocazione viticola, l’approccio più adatto per rispondere in modo efficace alle esigenze di cambiamento. Vocazione vuol dire fare una viticoltura dove la vite è in equilibrio con l’ambiente, anche per una futura strategia di riduzione ragionata delle superfici vitate italiane che può essere ottenuta dalle moderne tecniche di zonazione viticola.

Il professor Attilio Scienza è il coordinatore scientifico del Corso di Alta formazione
Il vino del futuro del Gambero Rosso

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<<<< Questo articolo è stato pubblicato su Trebicchieri, il settimanale economico di Gambero Rosso.

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