Le beveva Giovanni Pascoli nella sua casa a San Mauro già alla fine dell’800, sono state riscoperte da poco e promettono grandi sorprese. Sono le “bollicine di Romagna” che, anche attraverso un nuovo marchio collettivo, consentono di spumantizzare trebbiano e sangiovese. Due grandi cooperative vinicole del territorio si sono unite per creare la loro prima bottiglia proprio sotto la denominazione Novebolle.
La storia delle bollicine di Romagna è una storia che risale al secolo scorso, si perde tra i filari nel corso del tempo e oggi torna di grande attualità con la creazione ufficiale di una nuova denominazione e di un marchio condiviso.
Nelle terre del trebbiano (più di 14 mila ettari di impianti) e del sangiovese (con oltre 7 mila ettari coltivati) si è deciso di tornare a spumantizzare. “Perché non recuperare una tradizione antica delle nostre terre, quando da Imola a Cattolica le bollicine si producevano in grande quantità?”. È questo che devono aver pensato dal Consorzio dei Vini di Romagna dando il via alla nuova denominazione.
C’è infatti una lunga tradizione spumantistica in questa zona: erano gli anni della Bella Epoque quando da Imola fino a San Mauro Pascoli si producevano vini spumanti di lusso che andavano a rinfrescare i palati delle famiglie romagnole e facevano parlare di sé in giro per il mondo. Un passato che pochi conoscono, ma che oggi vuole tornare con forza partendo proprio dalle terre di Giovanni Pascoli con la creazione di una nuova denominazione. “Non si tratta di semplice nostalgia perché la Romagna ha continuato a produrre ottime basi spumante che fino ad oggi sono state vendute fuori regione e all’estero”, a parlare è Giorgio Melandri, giornalista del Gambero Rosso e grande conoscitore della filiera dell’Emilia-Romagna, che continua “Con questa iniziativa si punta a lasciare sul territorio quella marginalità che oggi viene incassata da chi spumantizza le basi romagnole: è una iniziativa che punta a valorizzare le uve prodotte da migliaia di famiglie romagnole e conferite alle cooperative. Ma c’è di più, c’è una sorta di patto di filiera perché questa operazione non è stata fatta con un marchio privato, ma con una DOC e un marchio collettivo registrato dal Consorzio Vini di Romagna che restano a disposizione di tutte le cantine, anche quelle private. Le grandi cooperative investiranno un budget di promozione alto per fare conoscere un marchio che è a disposizione di tutti. Un fatto inedito e straordinario”.
Da questa volontà nasce il marchio Novebolle, che nella parola stessa richiama i colli della Romagna (e la mitica corsa ciclistica che vi si corre, la “nove colli”) e il periodo storico (i primi del novecento) quando le bollicine lì in Romagna erano di casa. Un marchio collettivo, e identitario, creato per dare forma, e sostanza, alle intenzioni dei produttori a fronte di progetto già pensato, scritto, e approvato.
Due le versioni – bianco e rosato – per questo nuovo Romagna Doc Spumante, che si potranno produrre a partire dalla vendemmia 2019 e andranno poi a far parte di un marchio tutelato. Le caratteristiche sono stabilite in modo rigoroso: spuma fine e persistente; colore paglierino più o meno intenso; al naso fine e delicato, in bocca sapido, armonico; in diverse tipologie, da brut nature a secco. Può essere prodotto sia attraverso la rifermentazione in bottiglia (Metodo Classico), sia attraverso rifermentazione in autoclave (metodo Martinotti – Charmat). I limiti territoriali, come in tutte le Doc sono ben identificati: la spumantizzazione può essere effettuata in Romagna, Emilia o regioni limitrofe (Marche, Toscana, Lombardia, Veneto).
Per il bianco si possono usare solo uve di trebbiano romagnolo (minimo 70%, massimo 90%) e per il restante massimo 30% di altre uve bianche ammesse dal Romagna Doc più altri vitigni aromatici come incrocio manzoni (massimo per l 10%) o famoso (massimo per il 5%).
Per il rosato (una delle nuove e più avvincenti sfide) si può utilizzare il sangiovese con un minimo pari al 70% e un massimo del 90%. Per il restante massimo 30% altri vini bianchi e rossi ammessi dal Romagna Doc, compreso l’autoctono longanesi.
Tra i primi a crederci i due colossi cooperativi del vino di Romagna: Caviro da Faenza che rappresenta 12.800 viticoltori in 7 regioni e con il 10% dell’uva italiana conferita ed è, di fatto, la cantina più grande d’Italia; e Terre Cevico da Ravenna con i suoi 5000 soci viticoltori e 7000 ettari a conduzione diretta. Avrebbero potuto farsi una guerra di campanili, una battaglia tutta territoriale a suon di bottiglie e bollicine, come in un racconto di Guareschi, e invece no, con lungimiranza e astuzia, hanno deciso di unirsi e affrontare il mercato con un nuovo vestito. Una sfida enologica giocata sull’unione e sulla condivisione.
Hanno riunito conoscenze e saperi, enologi e territorio affidando ai migliori soci conferitori delle due cooperative la produzione di un vino tutto nuovo, frutto di questa originale sinergia, che hanno chiamato, in modo iconico, Bolè. Una bollicina, la prima inserita all’interno del marchio Novebolle, che entra a gamba tesa in un mercato di non facile approccio.
Nel 2018 l’esordio – in anteprima – con le prime bottiglie: gli enologi hanno creato una base di trebbiano a quota 95%, con un restante 5% di uva famoso; il metodo di spumantizzazione è il Martinotti con rifermentazione lenta in autoclave a una temperatura tra i 15 e i 17°C per 30 giorni. Ne esce una bollicina di facile beva, da bere a tutto pasto, quella che proprio nei primi del novecento veniva chiamata la Sciampagna Romagnola e che bene si abbina ai piatti del territorio, quella Romagna che ha il mare di fronte (leggi: piatti di pesce) e le colline alle spalle (carne alla brace).
I soci produttori di questa nuovo progetto sono 98 (su ventimila) e le bottiglie prodotte nel primo anno di vita sono state circa 45 mila. Le stime parlano di circa 100 mila per questo 2019 ed è già pronto anche il progetto per la vinificazione in bianco del sangiovese da cui nascerà un rosato (con metodo classico). L’habillage è stato lungamente pensato, andando a ricercare caratteri, forme e ricordi di quella Romagna del passato.
Il progetto Novebolle è solo all’inizio, una sfida interessante per un territorio molto produttivo che però ha deciso di raccontare il vino in un modo nuovo, studiando le tradizioni del passato e riportandole a nuova vita. Presto per dire cosa accadrà, ma la Romagna (e i suoi produttori) non smette mai di stupire.
a cura di Tommaso Costa
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