Toscana, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata. È molto lungo l’elenco delle regioni italiane in cui le conseguenze della crisi climatica si stanno facendo sentire da qualche settimana. Nei vigneti inumiditi dalle piogge abbondanti di maggio e giugno, la peronospora della vite è dilagata rapidamente lungo i filari, generando un clima di forte preoccupazione per la prossima campagna. Istituzioni, associazioni di categoria e Consorzi di tutela hanno già lanciato l’allarme, osservando che le difficoltà maggiori si presentano per i produttori biologici e biodinamici, rispetto a chi conduce un vigneto in modo convenzionale.
Le prime stime dell’Osservatorio dell’Unione italiana vini parlano di cali compresi tra 5% e 40%, a seconda degli areali. E l’Italia, con buona probabilità, dopo aver prodotto ben cento milioni di ettolitri di vino in due anni, con giacenze record che hanno rimesso in pista il tema della distillazione di crisi, potrebbe registrare un calo sensibile di volumi per questo 2023. La situazione è in divenire, molto complessa, e occorrerà vedere come si evolverà il quadro dei prossimi mesi.
Per capire quali siano le difficoltà dei viticoltori e i metodi per salvare il raccolto, abbiamo posto alcune domande ad Adriano Zago, esperto agronomo ed enologo, consulente di imprese in Italia e all’estero, autore di un manuale sulla viticoltura biodinamica fresco di stampa.
Partiamo dalla peronospora. Cos’è e quali sono i danni che provoca alla vite?
La peronospora è un fungo noto da più di un secolo ai viticoltori europei che causa danni sia agli organi vegetali, come foglie, tralci e grappoli, sia agli organi riproduttivi, ossia il fiore.
Con quali conseguenze?
È uno dei funghi più insidiosi in quanto può arrivare a ridurre o azzerare la produzione in annate con elevata piovosità, in varietà particolarmente sensibili e in momenti dell’annata particolarmente recettivi come la fioritura. È una patologia che appare quasi tutti gli anni, a seconda delle latitudini e degli andamenti stagionali.
La 2023 è un’annata umida, un po’ come la 2014, che si rivelò molto difficile da affrontare, al punto che qualche produttore rinunciò a produrre i suoi cru. Ha senso un simile paragone?
Ci sono dei tratti simili tra l’annata 2023 e la 2014, almeno per la partenza della stagione, ma è davvero troppo presto per trarre delle linee di similitudini complessive. Il caldo di queste settimane, per esempio, ci fa sperare in un’estate che possa far ben sviluppare l’intera pianta. C’è ancora tempo.
Cosa accade alla pianta che passa da un periodo molto umido a uno molto caldo?
Da agronomo, sogno da una vita di poter fare una domanda come questa direttamente alla pianta. Scherzi a parte, la vite è una pianta rustica, che riesce a superare condizioni estreme anche se con conseguenze sulla parte che a noi sta più a cuore, da viticoltori: i grappoli. In un anno come questo, le grandi precipitazioni accompagnate da temperature primaverili timide e una scarsa insolazione hanno prodotto un grande potenziale vegetativo che si sta esprimendo in questi giorni di calore con la produzione di tralci di grandi dimensioni e foglie e ramificazioni secondarie. In questi stessi giorni, la pianta ha attraversato anche la fase di fioritura e di allegagione (quello che noi chiamiamo “il grano di pepe”, termine che indica la grandezza dell’acino).
E col forte caldo come la mettiamo?
Le prime ondate di caldo, per ora, non stanno producendo effetti negativi, ma solo una grande crescita vegetativa: la pianta è ricca d’acqua e, quindi, in grado di abbassare la temperatura interna di foglie e grappoli proprio attraverso la circolazione (o meglio, evaporazione) dell’acqua. Un vecchio docente universitario mi insegnò che in questi casi possiamo immaginare la pianta brutalmente come il radiatore della macchina: finché c’è acqua che circola, la temperatura si abbassa. Se le temperature non saranno eccessive e se ci sarà qualche altra precipitazione da qui alla vendemmia, potremmo pensare a una annata di grandi opportunità.
Quali sono le maggiori difficoltà per i viticoltori che conducono un vigneto con metodo biologico e biodinamico?
Per fortuna, il racconto che prevede che i viticoltori biodinamici e biologici soccombano nelle annate difficili più dei colleghi convenzionali e industriali è, per mia esperienza e giudizio professionale, terminato. La tecnologia, le conoscenze, le consapevolezze e molti altri fattori del progresso produttivo sono parimenti accessibili a ogni sorta di viticoltore.
E allora quali sono le differenze?
Quelle che cambiano sono le priorità che determinano le operazioni colturali e le organizzazioni interne dell’azienda. Nelle aziende vinicole biodinamiche e biologiche, diamo precedenza alla fertilità del suolo, all’equilibrio della pianta e a una grande reattività di intervento coi prodotti che utilizziamo. Viaggio costantemente tra Italia ed Europa e non vedo nemmeno quest’anno grandi differenze tra bio e non bio in termini di malattie. Invece, vedo differenze tra chi ha saputo gestire con prontezza e professionalità l’annata e tra chi si è affidato a ideologie e scarsa osservazione.
L’articolo completo è stato pubblicato sul Settimanale Tre Bicchieri del 6 luglio 2023 – Gambero Rosso
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