Chi è il vero nemico in casa? Inizia da qui la nuova inchiesta di Report che andrà in onda domenica18 febbraio, e che il Gambero Rosso ha già visto in esclusiva, prendendo in prestito le parole del ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, che così aveva definito il conduttore Sigfrido Ranucci, dopo la puntata andata in onda lo scorso dicembre.
Nel nuovo servizio si prova a rovesciare il seguente paradigma. «Il vero nemico non è in casa nostra», sostiene Ranucci, «ma nella loro». Sono gli enologi? La chimica? Le multinazionali? Un po’ tutto questo secondo il servizio di Emanuele Bellano e Chiara D’Ambros, che per prima cosa focalizza l’attenzione sul presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella: «Ho 60 vendemmie alle spalle in giro per il mondo», dice l’enologo ai microfoni di Report «sono docente universitario, ho due lauree honoris causa, sentirmi chiamare piccolo chimico mi ha un po’ rotto le scatole».
Eppure, è sempre questo il concetto da cui si parte e quello a cui si arriva: l’uso della chimica – lieviti selezionati in primis – e degli “aggiustamenti” in cantina che finiscono per rendere i vini tutti omologati o, se non altro, uguali a sé stessi anno dopo anno, per gusto, colore e grado alcolico.
In questa puntata, per portare avanti la tesi iniziale, si fa riferimento a grandi gruppi vitivinicoli e imbottigliatori che, dall’Oltrepò Pavese alla Valpolicella, ricorrono a pratiche non consentite per legge, come l’assemblaggio tra vini differenti anche per le Doc (provenienti sia dallo stesso territorio sia da altre regioni, come Puglia o Abruzzo) o l’aggiunta di acqua per abbassare la gradazione alcolica. Casi che Report riporta alla luce a partire dal racconto di ex cantinieri e dipendenti degli stessi gruppi in questione.
Stavolta, però, a fare da contraltare ci sono anche alcuni esempi, definiti “virtuosi” dallo stesso Ranucci. Si tratta di piccoli produttori (tra cui l’ex giornalista di Report Piero Riccardi e l’ex calciatore Nevio Scala) che producono vino cosiddetto ancestrale nel rispetto della natura. La seconda parte della puntata è, quindi, tutta giocata sulla contrapposizione tra un modello e l’altro: i buoni e i cattivi. Quelli che producono 20mila bottiglie e quelli che ne producono 20milioni.
Sotto accusa finiscono soprattutto i fitofarmaci che uccidono tutte i microrganismi presenti nell’uva, compresi i lieviti indigeni, costringendo i produttori, sotto la guida degli enologi, a ricorrere a quelli selezionati e brevettati dalle multinazionali.
Pratica, quest’ultima, che, secondo il servizio visto dal Gambero Rosso, finisce per standardizzare i vini, omologando allo stesso tempo le valutazioni dei degustatori e omologando, in ultima istanza, anche i gusti del consumatore. «Tutto in nome del guadagno» è la conclusione di Ranucci: «L’alternativa è quello del poco ma buono, una via più faticosa, ma che andrebbe preservata, perché se c’è un nemico da identificare per la sovranità alimentare andrebbe ricercato in quei produttori che uccidono e non rispettano la diversità e la personalità del terreno e dell’uva. Altrimenti di che sovranità stiamo parlando?».
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