Per l’industria dei fine wine, lo stress test del 2020 sembra finora superato. E questo vale soprattutto per i vini italiani. Il quadro emerge dall’ultimo rapporto del Liv-ex, l’indice britannico dei vini d’alta gamma. I disordini a Hong Kong, i dazi negli Stati Uniti, la Brexit e il Covid-19 con la conseguente rivoluzione nel calendario 2020 delle anteprime e delle grandi fiere, sono stati un banco di prova importante per un segmento di mercato che ha sempre dimostrato di resistere nei decenni agli effetti delle crisi economiche. Ed è quanto accaduto quest’anno.
La conferma di questa capacità è nell’andamento dei principali livelli degli indici: si va dal +4,65 del Liv-ex 100 (che rappresenta il benchmark per l’industria) al +1,31% del Liv-ex 1000 (che comprende i mille vini da collezione più scambiati, comprendente sette sottoindici tra cui quello italiano). In particolare, l’indice vinicolo dell’industria ha fatto meglio di quelli dei principali mercati azionari, caratterizzati da una grande volatilità. Se, infatti, le principali le azioni sulle borse mondiali (Dax, Hang Seng, Ftse 100, S&P 500) hanno perso capitalizzazione, gli indici dei fine wine hanno mostrato segnali di estrema stabilità, confermando come questo tipo di investimento possa essere una garanzia anche in tempi difficili.
Il valore totale delle compravendite dei fine wine, registrato a fine novembre, ha raggiunto il livello record di 83 milioni di sterline, in aumento di 33 milioni rispetto allo scorso anno. Il sentiment positivo è confermato anche dal rapporto bid-offer (espresso dal rapporto tra valore delle offerte e valore della domanda) pari a 0,62, superiore a 0,5 che esprime un buon momento di un mercato cresciuto sia per la debolezza della sterlina rispetto ad altre valute sia perché, in una congiuntura di complessità per i mercati finanziari, il vino ha rappresentato un’alternativa come puro investimento.
I dazi sui vini europei negli Usa hanno fatto scendere le richieste dei francesi: la quota a valore per Bordeaux negli Stati Uniti è passata da 48% a 33%, per la Borgogna da 13% a 8%; mentre sono positivi i dati per Champagne, da 10% a 14%, e per l’Italia, passata da 18% a 25%. L’indice Italy 100 ha guadagnato in un anno il 6,72% (spinta da grandi annate come il Barolo ‘16 e il Brunello ‘15) seconda solo allo Champagne. In linea generale, i fine wine italiani sono i veri vincitori di questo 2020 perché, sottolineano gli analisti del Liv-ex, dopo l’8,8% del 2019 vedono le proprie quote di mercato raddoppiate al 15,3%. I super-tuscan prevalgono anche nella lista dei top 10 price performers: Sassicaia 2013 a + 30.7% (dopo Chateaux l’Eglise-Clinet Pomerol a +37%), Solaia 2013 (+24.1%) e doppio Tignanello 2013 (+21.8%) e 2016 (+19.2%).
a cura di Gianluca Atzeni
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