Una spiccata acidità, ma anche eleganza e finezza. Nella denominazione Chablis si possono trovare alcuni dei migliori vini a base chardonnay. Una piccola perla nella parte più settentrionale della Borgogna che versa in uno stato piuttosto precario. Il cambiamento climatico minaccia di stravolgere tutto. «Mentre il pianeta si riscalda, lo Chablis può mantenere il suo carattere particolare? Sarà ancora Chablis? O solo un altro chardonnay?» scrive Eric Asimov sul New York Times.
Il segreto di questo vino va ricercato in un insieme di fattori. Il suolo, ricco di depositi fossili e conchiglie, la posizione geografica e il clima conferiscono ai vini un profilo organolettico distintivo di note minerali e pietra focaia. «È stata un’equazione fragile per decenni, poiché, per gran parte del XX secolo, i viticoltori hanno faticato per maturare le loro uve sufficientemente ed ammorbidire le spigolosità del vino» dice Asimov.
Tuttavia, il cambiamento climatico è una seria minaccia. «Non strettamente a causa delle temperature più calde. Sono gli eventi catastrofici – grandine, gelate primaverili, piogge o siccità prolungata– ad essere diventati molto più frequenti e rappresentare la minaccia più grande» scrive Asimov. «Il nostro lavoro ora, è mantenere la mineralità, la freschezza e l’acidità. In passato era più facile, mentre ora dobbiamo impegnarci di più», dice Julien Brocard, a capo dell’omonima azienda.
Nel 2024, molti viticoltori di Chablis hanno dovuto abbandonare l’agricoltura biologica perché le vigne sono state sopraffatte dalla peronospora e per salvare parte del raccolto, sono stati costretti a ricorrere ai trattamenti chimici. «Non ho avuto altra scelta dal punto di vista economico – spiega Edouard Vocoret – Alle banche non interessa se coltivi in modo biologico. Vorrei restare biologico, ma ho bollette da pagare».
Oltretutto con il cambiamento climatico le piante si risvegliano con tre o quattro settimane di anticipo rispetto a prima, e questo le rende più vulnerabili alle gelate primaverili. «L’intero ciclo della vite sta cambiando» dice Athénaïs de Béru. «Dobbiamo cambiare portainnesti? Far crescere le viti più alte?», si chiede Edouard Vocoret. «Ci sono molte cose che non sappiamo ancora. Ho tante domande».
La chiesa di Saint Claire de Pre?hy immersa nei vigneti di Chablis. In apertura, panorama sulle vigne di Borgogna (foto di Aurelien Ibanez)
In questo periodo di incertezza, l’adattamento è il tema più ricorrente nei discorsi tra i viticoltori. «Dobbiamo lavorare con la natura», afferma Athénaïs de Béru. A cui fa eco Didier Picq di Domaine Picq. «Le viti hanno la capacità di adattarsi».
Per Didier Séguier, direttore del Domaine William Fèvre, il futuro di Chablis è ancora solido, anche se qualche dubbio rimane. «Per ora riusciamo a mantenere la nostra identità – commenta – In futuro, forse non sarà così». Ma un velo di speranza rimane. Secondo Séguier, la forza della regione per opporsi al cambiamento climatico sta nel suo terroir. «Il suolo Kimmeridgiano è più forte dell’annata. La nostra posizione e il nostro suolo saranno la nostra salvezza. Anche di fronte ai cambiamenti climatici».
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