Il turismo del vino come risposta alla crisi dei consumi. Nessuna contraddizione in termini: d’altronde l’accoglienza in cantina ha tante sfaccettature che possono tornare utili in un momento in cui il settore necessita di ulteriori spinte che vadano oltre la degustazione, abbracciando il cosiddetto turismo esperienziale.
È uno degli input arrivati dalla prima indagine realizzata dal nuovo Centro studi enoturistico e oleoturistico (Ceseo) dell’università Lumsa, presentata a Roma a Palazzo Giustiniani (sede della Presidenza del Senato).
Da sinistra: Francesco Bonini, Massimiliano Ossini, Anna Isabella Squarzina, Donatella Cinelli Colombini, Violante Gardini Cinelli Colombini, Dario Stefàno, Anna Rossomando, Antonello Maruotti
Lo studio, che ha esaminato un campione di 237 cantine del Movimento turismo del vino, conferma come l’enoturismo sia un settore in salute e sempre più attrattivo: nel 2024 il 53% del campione ha registrato un aumento del fatturato e, tra questi nel 24% dei casi, la crescita è stata addirittura a doppia cifra.
«Nonostante questa tendenza decisamente positiva – evidenzia l’analisi di Antonello Maruotti – il settore sembra minacciato da un costante aumento dei costi segnalato dall’81% delle cantine: incrementi che erodono i margini di guadagno e che in molti casi risultano particolarmente significativi». Il 29% registra una crescita compresa tra il 5% e il 10%, il 16% riporta un incremento tra il 10% e il 25%, e un significativo 8% dichiara un aumento superiore al 25%. Uno scenario particolarmente critico soprattutto per le aziende di piccole dimensioni che rappresentano gran parte del campione.
A questo si aggiungono le problematiche legate al nuovo codice della strada che potrebbe dare più di qualche noia ai wine lover che di solito si mettono alla guida della loro auto per raggiungere le cantine. Ma per tracciare i primi bilanci bisognerà aspettare l’avvio della stagione enoturistica.
Non ci gira attorno la direttrice Ceseo Donatella Cinelli Colombini: «Il turismo cresce del 4% l’anno a livello globale, quello del vino del 13% (dati del Fondo Monetario Internazionale). Un incremento a due cifre che è un boom e che ci esorta a rimboccarci le maniche, soprattutto in questo momento difficile, e lavorare per tutte le cantine italiane. Abbiamo la fortuna di avere un’offerta diversificata con cantine nei trulli, nelle ville palladiane, nei castelli medievali, oltre a quelle realizzate dagli archistar: non possiamo sprecare questa occasione».
Occhio, però, avverte Cinelli Colombini: «Se l’algoritmo spinge verso ciò che è già famoso, incentivando l’overturism, noi dobbiamo promuovere un turismo diffuso che porti benefici a tutti i territori. Per questo ci affidiamo ai tecnici e per questo abbiamo dato vita ad un Centro studi che vuole essere inclusivo e a disposizione del mondo vitivinicolo tutto».
Un aspetto su cui dovranno lavorare le cantine italiane è la comunicazione. «Tutte le aziende hanno il sito web e i social, ma spesso non vengono ben sviluppati tant’è che il tasso di conversione in visite reali è molto basso: il 42% delle cantine registra meno di mille visite al mese e il 15% non monitora con regolarità il numero di accessi», spiega il responsabile dell’Osservatorio, che mette in luce anche una gestione poco mirata delle mailing list (il 42% delle cantine invia comunicazioni mensili mentre il 33% tre volte l’anno) e, in generale, dei contatti. Solo il 21% delle aziende utilizza strumenti Crm (Customer relationship management) dedicati. Capitolo a parte quello dei wine club: il modello californiano non sembra aver attecchito nel modo corretto in Italia.
Se la vendita diretta del vino è rilevante per il 96% del campione e le visite per il 73%, la voce che resta ancora marginale riguarda i pasti (rilevante solo per il 29%) e i pernottamenti. «Ne viene fuori un modello ancora troppo legato a visite e degustazioni e poco all’accoglienza a tutto tondo», evidenzia Maruotti.
Diversificare le esperienze è, quindi, la strada da seguire, come stanno cercando di fare le cantine italiane: attualmente il 65% delle aziende si concentra su un numero limitato di esperienze (fino a quattro), ma c’è chi arriva anche a 18 attività differenti, da quelle più tradizionali a iniziative più esclusive. L’87% delle cantine offre prodotti tipici del territorio durante la degustazione, il 25% organizza cene con il produttore e il 20% corsi di cucina. Da sviluppare maggiormente il wellness, sempre più apprezzato, ma al momento contemplato solo dal 3% del campione. Infine, la ricerca evidenzia come sia maggiormente efficace l’accoglienza turistica nei week end con oltre metà delle cantine ormai aperte anche la domenica.
«Con il nuovo Centro studi, vogliamo capire dalle cantine di cosa hanno bisogno per poter essere più performanti rispetto alla domanda. Una domanda che oggi è cambiata e che è diventata più impegnativa da parte di un turista che spende di più ma che, vuole anche di più. A partire dalla competenza nel disegnare l’esperienza da vivere in cantina. Non solo degustazione, ma una dimensione multipla che abbracci wellness, arte, cultura, sport» è l’esortazione del presidente Ceseo Dario Stefàno (ideatore, tra le altre cose, della prima legge sull’enoturismo approvata nel 2017)
«Le cantine sono pronte a reagire con un’offerta turistica diversificata – è il commento della presidente del Movimento turismo del vino Violante Gardini Cinelli Colombini – a partire da Cantine Aperte 2025 che sarà una vetrina di diversificazione, non solo per appassionati di vino ma anche per chi cerca attività di benessere, all’aria aperta o di condivisione in famiglia. Siamo pronti ad usare tutte le armi che abbiamo in mano».
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