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Sette vini campani al di fuori delle solite rotte (scovati al Vinitaly)

Una degustazione nel padiglione Campania ci ha dato modo di riflettere sugli ultimi decenni del panorama vinicolo regionale, tra vitigni meno conosciuti e zone che sgomitano per emergere

  • 19 Aprile, 2025
  • 19/04/25

Se c’è una costante nell’affrontare le degustazioni campane, la individuiamo nel livello di divertimento che la regione offre da alcuni anni a questa parte. Impossibile annoiarsi quando si ha a che fare con una regione in grado di offrire una miriade di vitigni autoctoni declinati su altrettanti territori diversi, ognuno caratterizzato dalle sue peculiarità. L’occasione per riflettere su tutto questo è stata una degustazione presso il Padiglione Campania al Vinitaly 2025: Jacopo Cossater (Intravino) e Antonio Boco (tipicamente) hanno guidato l’evento partendo proprio da alcune considerazioni su questi due aspetti.

Antichi vitigni, nuove interpretazioni

«Attualmente sono molte le regioni in Italia che vantano al loro interno una grande variabilità territoriale», apre Jacopo Cossater, «cosa che, in alcuni casi, può diventare un eccesso. Perché vale la pena riflettere: alla fine quante sono davvero rilevanti? E lo stesso discorso vale per le uve. È inevitabile che non tutti i territori e i vitigni abbiano lo stesso peso. Ma il bello è che le situazioni possono cambiare: e quindi i territori posso crescere, evolvere, incrociare i gusti del momento. Ed è quello che vediamo in Campania, spesso grazie all’intervento di aziende piccole e medio-piccole, che hanno portato di frequente una ventata di novità, cercando di rivoluzionare, o comunque di dare uno scossone, alla gerarchia regionale, aprendo prospettive anche su diverse tipologie di pubblico».

Di sponda Antonio Boco: «questo processo, in Campania, è iniziato intorno agli anni 2000, quando, per esempio, molto viticoltori hanno deciso di creare la propria azienda agricola, magari fuoriuscendo dai sistemi di conferimento delle uve ad aziende più grandi. Mi piace paragonare questa situazione con ciò che negli stessi anni stava succedendo nella Champagne, con i vigneron che con le loro cuvée iniziavano a farsi largo tra le grandi maison».

La Campania al Vinitaly 2025 si è presentata con una formazione ampia e compatta: tra le regioni più rappresentate di questa edizione, sono ben 270 le aziende presenti in fiera. La degustazione proposta ha voluto accendere un faro su alcuni vitigni “antichi”, letti però in chiave contemporanea, in una metaforica passeggiata tanto tra le uve quanto tra le varie zone.

Asprinio di Aversa Vite Maritata ’24 – I Borboni

Chi frequenta il vino campano conosce la particolarità degli impianti dell’asprinio, le cui viti si arrampicano, anche molto in alto, sui fusti degli alberi, un sistema di allevamento molto antico, quasi archeologico: la vite maritata. I Borboni è un’azienda che risale al Settecento e che presidia l’agro aversano, dai suoli sabbiosi, praticamente da sempre. Il loro Asprinio Vite Maritata ’24 è molto agrumato, profuma di foglia di limone, c’è un’idea di mela matura, la bocca è acida ma controllata, accogliente; il finale è erbaceo. Piacevole e generoso.

Risiera Coda di Volpe ’23 – Porto di Mola

Di solito siamo abituati a incontrare la coda di volpe sulle colline irpine. Quella che abbiamo assaggiato oggi invece è targata provincia di Caserta. Siamo a Rocca d’Evandro, dove la famiglia Esposito cura i propri vigneti che insistono sul vulcano spento di Roccamonfina. Naso appena affumicato, lieve su note agrumate chiare e fiori bianchi; subentra un frutto polposo che si ritrova in bocca e si unisce in maniera pulita con la spalla acida. Una versione che ci sembra più spessa rispetto a quelle irpine, ma appagante e carnosa.

Fiano di Avellino ’23 – Traerte Vadiaperti

Antonio Troisi è stato uno dei precursori di quel movimento di vignaioli che hanno deciso di creare la propria azienda, dando avvio alla sua attività già negli anni Ottanta. Oggi le redini sono in mano al figlio Raffaele che cura una gamma di vini irpini fino al midollo. Il Fiano di Avellino ’23 ha bisogno di dialogare un po’ con l’ossigeno prima di concedersi. La nota affumicata lascia spazio alla polpa di limone, ai fiori bianchi e gialli e a sensazioni di prato bagnato. Un minerale e iodato anticipa una bocca non ancora pienamente espressiva. Ci vediamo tra qualche mese.

Vesuvio Piedirosso Vipt ’23 – Olivella

Ad aprire la sezione dedicata ai rossi ci pensa il Piedirosso Vipt ’23 di Olivella, azienda nata nel 2004 e guidata da Andrea Cozzolino, Ciro Giordano e Domenico Ceriello. Centro nevralgico delle operazioni è la cantina di Santa Anastasia, ai piedi del Monte Somma, nel Parco Nazionale del Vesuvio. Inutile dire che la suggestione del Vesuvio ci fa pensare a qualcosa di affumicato e minerale che si innesta su un tappeto di piccoli frutti neri. Poi arriva il classico tocco floreale, appena accenato; la bocca è caratterizzata da una buona presa tannica che rende l’etichetta una perfetta compagna della tavola.

Campi Flegrei Piedirosso Colle Rotondella ’24 – Cantine Astroni

Il cratere degli Astroni battezza una delle aziende principali dell’areale dei Campi Flegrei. Il paesaggio è straordinario, dotato di quel fascino ancestrale dei luoghi vulcanici: a prendersene cura ci sono le famiglie Varchetta e Vernazzaro, che, anno dopo, anno propongono vini sempre più convincenti. In super-anteprima, abbiamo assaggiato il Piedirosso Colle Rotondella ’24, che svolazza tra fiori rossi, spezie e ribes su un palato leggiadro, fine, sapidissmo e divertente.

Costa d’Amalfi Tramonti Rosso ‘A Scippata Ris. ’19 – Giuseppe Apicella

Giuseppe Apicella è uno dei custodi della viticoltura della Costiera Amalfitana: tra le sue vigne ospita uno dei più vecchi vigneti del territorio di Tramonti, una zona sospesa tra montagna e mare. ‘A Scippata ’19 è un blend di piedirosso (20%) e tintore, un autoctono di cui nella Costa d’Amalfi sono rimasti appena 50 ettari in tutto. Un po’ di ritrosia iniziale viene compensata da sensazioni di petali di rosa rossa, amarena e macchia mediterranea; la bocca è fitta ma dotata di succo e polpa.

Quirico Aglianico ’19 – Pietracupa

Sabino Loffredo è certamente tra i più grandi bianchisti d’Italia, ma qui lo incontriamo sotto un’altra veste. Oltre a produrre un Taurasi molto verace, nella sua piccola gamma propone anche questo Aglianico Quirico, rosso un po’ al di fuori dagli schemi classici cui il vitigno ci ha abituato. Giocato in sottrazione, sfoggia un frutto rosso croccante e polposo, venato dai classici refoli ferrosi, dalla trama tannica sottile e fitta che si appoggia al palato senza prendere il sopravvento.

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