Insieme all’aglianico, è probabilmente l’uva campana più antica e fortemente legata alla tradizione agricola regionale. Eppure la sua ampia diffusione, una sorta di rinascita, è avvenuta intorno agli anni Settanta. Stiamo parlando della falanghina, uno dei vitigni autoctoni campani che sta vivendo un grande successo, sia sul mercato interno, sia su quelli internazionali. Ma partiamo dal nome, che la collega alla storia antica: il termine falanghina sembrerebbe derivare dalla parola latina “falanx”, un sostantivo che indicherebbe il palo di sostegno utilizzato allora per far arrampicare la vite. Col passare dei secoli in Campania si sono differenziate geneticamente due tipologie di falanghina; una è quella dei Campi Flegrei, la cui diffusione si deve alla famiglia Martusciello che recuperò alcuni ceppi centenari a piede franco coltivati alle pendici del Lago di Averno.
L’altra è quella del Sannio, molto più diffusa, una varietà che sembrerebbe essere originaria di Bonea e che venne riscoperta da Leonardo Mustilli. Le due varietà si sono adattate nei secoli ai territori in cui sono state ritrovate e tuttora, quando vinificate rispettando la materia prima, si percepisce chiaramente la differenza anche nel vino: sapidità e sensazioni minerali in quella dei Campi Flegrei; acidità e struttura in quella del Sannio.
Oltre a queste due zone, il vitigno è molto diffuso anche nella provincia di Caserta e rientra in diverse denominazioni regionali. Il successo commerciale dei vini prodotti, negli anni ha portato il vitigno a oltrepassare i confini regionali e oggi la falanghina è coltivata anche in Molise e nel nord della Puglia. Di seguito troverete una piccola listi di vini a base di falanghina che abbiamo recensito nell’ultima edizione della guida Berebene.
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