Dallo Sciuscillone del salernitano al Diavolicchio della Calabria, salgono al numero record di 1650 le specialità salvate dall’estinzione grazie all’impegno dei 750 agricoltori “custodi” del patrimonio della tradizione contadina italiana. Per merito di queste persone, di cui oltre la metà sono giovani under 40, e il 15 per cento sono giovanissimi sotto i 30 anni, tanti prodotti che rischiavamo di perdere per sempre, sono invece stati recuperati per essere portati nuovamente sulla tavola.
A rivelarlo, il nuovo censimento 2024 dell’Osservatorio sulla biodiversità, istituito dal comitato scientifico di Campagna Amica e presentato al Villaggio Coldiretti a Venezia, dove è stata allestita una grande mostra con parte dei prodotti sottratti alla scomparsa: tra questi, erano presenti i fiadoni, o in dialetto abruzzese “li fiadune”, un tipico prodotto da forno a forma di raviolo, la cui sfoglia esterna viene preparata con un impasto di uova, olio, vino bianco, farina, mentre il ripieno contiene formaggio Pecorino o ricotta; il fagiolo bianco di Rotonda della Basilicata, tipico della tradizione contadina, da consumare o fresco nei baccelli verdi, noti come “vaiane” o “fagioli verdi”, oppure secco, forma più aromatica.
Il peperoncino Diavolicchio della Calabria, con mazzetti così fitti da rendere necessario l’uso di un sostegno a cui legare la pianta per sostenerne il peso, e il Peperone Sciuscillone, una varietà dolce il cui nome riprende quello delle carrube, che hanno una forma simile e vengono chiamate “sciuscelle” nel dialetto teggianese.
E, ancora, la Pera Nobile di Parma, in Emilia Romagna, un’antica varietà unica nel suo genere di cui la Duchessa Maria Luigia D’Austria si innamorò a tal punto da richiedere il suo utilizzo per il ripieno dei tortelli. Il Çuç di mont, un formaggio d’alpeggio del Friuli Venezia Giulia, il Farro del Pungolo di Acquapendente del Lazio e l’arancio Pernambucco ligure, un agrume precoce che ben si presta per confetture e marmellate, succhi e distillati, ma anche candito.
Nelle Marche è stato salvato l’amaro Harmonico che viene prodotto usando 21 componenti tra erbe e fiori; in Sardegna il S’ozu casu, chiamato anche manteca, che si ricava dalla panna di latte, fatta bollire con l’aggiunta di farina di semola; in Sicilia il limone “Interdonato” che risale alla fine dell’800; in Trentino il miele di Rododendro, prodotto ad alta quota, uno dei mieli meno contaminati, oltre ad avere particolari proprietà ricostituenti e calmanti e in Veneto il pisello Verdone Nano che si distingue per la sua forma rotondeggiante, colore verde brillante, precocità e dolcezza, senza uso di antiparassitari o diserbanti.
Dietro ogni prodotto c’è una storia, una cultura e una tradizione che è rimasta viva nel tempo ed esprime al meglio la realtà di ogni territorio, un patrimonio del Made in Italy che va assolutamente difeso dalla banalizzazione, visto che il buon cibo, insieme al turismo e alla cultura, rappresentano le leve strategiche determinanti per un modello produttivo, come quello italiano, che ha vinto puntando sui valori dell’identità, della biodiversità e del legame con i territori.
«La difesa della biodiversità è il vero valore aggiunto delle produzioni agricole made in Italy, con un impatto importante anche sull’economia nazionale, a partire dal turismo – ha dichiarato il direttore di Fondazione Campagna Amica, Carmelo Troccoli – Investire sulla distintività è una condizione necessaria per le imprese agricole per affrontare così il mercato globalizzato, salvaguardo, difendendo e creando sistemi economici locali attorno al valore del cibo».
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