In Calabria la focaccia più antica si chiama pitta ed è un prodotto della cultura contadina che il pizzaiolo Giuseppe Di Gaetani, classe ’98, ha rilanciato alla sua Pizzeria Da Filomena di Castrovillari, in provincia di Cosenza, aperta nel 2015 insieme alla mamma Filomena Palmieri. L’artigiano ha una vera passione per le ricette della tradizione, e così ha deciso di recuperare questa ciambella di pane, da vendere sia in versione semplice che farcita.
Il nome deriva dall’usanza di spennellare – pittare, in dialetto calabrese – la superficie dell’impasto per preservarne la freschezza, eliminando eventuali perdite di umidità. Antenata del prodotto è la placenta romana, focaccia di grano destinata ai ceti medio-alti, presente nei banchetti sontuosi ma consumata anche dai soldati, prima di diffondersi poi in tutto l’Impero Romano. All’epoca si chiamava così perché decorata, dipinta (picta in latino) e offerta in dono agli dèi.
Oggi la pitta è ancora diffusa in Calabria, «ma non si trova più frequentemente come un tempo» spiega Giuseppe. La ricetta è nata come «termometro: si faceva questo impasto col buco per controllare quando il forno arrivava a temperatura, così da poter inserire la pagnotta». Ma si sa, non si butta via niente, «la nostra è una cucina di recupero, attenta agli sprechi, e la pitta è diventata un prodotto goloso pensato soprattutto al trasporto».
Alla pizzeria di Castrovillari la pitta viene sfornata senza condimenti, «molte persone amano usarla a casa al posto del pane o della focaccia» ma poi ci sono anche tante versioni farcite, «come quella con la ciambotta estiva, un mix di patate, cipolla, melanzane, pomodorini e basilico, oppure la variante invernale con le rape, o quella autunnale con zucca e finocchio». I gusti sono sempre stagionali, la maggior parte delle materie prime arrivano dal terreno della casa di campagna, «oppure dal mercato contadino al centro del paese, che raduna agricoltori diretti della zona». In qualsiasi caso, i condimenti non sono mai eccessivi «uso pochi ingredienti, mi piace rispettare il prodotto».
Per un assaggio della vera cucina calabrese, bisogna però provare la pitta con le patate ‘mblacchiate, «una ricetta povera a base di patate silane tagliate a fettine e fritte con poco olio, a cui vengono aggiunti poi i peperoni, abbassando la fiamma, finché non si attacca il tutto». Alla base, un impasto ad alta idratazione che riposa per circa 36 ore, tra maturazione e lievitazione, cotto a temperature non aggressive. Il modo più semplice di degustarlo? «Con un po’ di ricotta calda e basta, proprio come si fa nelle case, come facevano i contadini al lavoro sui campi».
E se capitate da quelle parti, non perdetevi anche un assaggio della schicculiata, «il nostro fiore all’occhiello, una pizza nel padellino nata di nuovo come prova per la temperatura del forno, a cui venivano aggiunti poi i pomodori freschi meno belli, quelli scartati durante la preparazione delle passate in estate. In inverno, invece, si condiva con i pomodori che finivano nel vasetto».
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