I biscotti detti “ossa dei morti” sono una specialità che tiene acceso il ricordo dei cari che non ci sono più. Sono dolci caserecci solitamente a base di mandorle, albume, zucchero e vino che ogni regione e famiglia fa secondo la propria ricetta nei primi due giorni di novembre. A Mantova sono nuvolette rotonde, in Calabria sono fatti col marsala, mentre quelli tipici della Sicilia sono completamente diversi, e richiedono una preparazione che dura tre giorni. E sono frutto di una magia.
«Duri, duri sono», ammonisce la mia amica Carmela (detta Meluzza) mentre mi mostra le fasi finali della ricetta, «fanno la felicità dei dentisti» sorride. Al contrario delle altre versioni, il biscotto della festa dei morti siciliano è durissimo, non contiene mandorle o uova, è totalmente vegano ed è perfetto per l’inzuppo nei vini liquorosi. A seconda della zona questi curiosi biscotti sono chiamati in molti modi, scardellini, mustazzoli, cruzziteddi o moscardini, e sono dolci che in Sicilia hanno sia valenza religiosa, ma che rappresentano in più una tradizione molto sentita fra i bambini. In Sicilia la ricorrenza dei Morti, infatti, è una festa allegra con origini antichissime risalenti al X secolo: nella notte tra Ognissanti e il due novembre, si crede che i defunti portino doni ai bambini. I piccoli preparano un cestino detto cannistru e aspettano di trovarlo pieno di dolci tipici del periodo, pupaccena – i pupi di zucchero, la frutta martorana, poi chicchi di melograno, fichi secchi, castagne, caramelle, e i biscotti detti ”ossa di morto”. La ricetta è semplice ma richiede pazienza e qualche trucco per la buona riuscita.
Sono questi i tre “ingredienti segreti” per la buona riuscita delle ossa di morto siciliane. 72 ore prima di svelarmi i suoi trucchi, la mia amica ha impastato un semplice sciroppo di acqua e zucchero semolato con farina, cannella e chiodi di garofano in polvere. Poi con questa “pasta garofanata” ha formato dei lunghi cordoncini, che ha poi tagliato in sezioni di circa 3-4 centimetri. A questo punto le losanghe così ottenute devono asciugare indisturbate per tre giorni. Meluzza ammonisce, «I biscotti non vanno assolutamente toccati né girati, altrimenti non succede la magia». Passato questo tempo i biscotti sono pronti per la cottura, ma bisogna sempre controllare che la parte a contatto con la teglia sia rimasta umida. I biscotti sono infatti deiventati bianchi e duri come gessetti in superficie, con però la parte sottostante leggermente più scura e umida. Se così non fosse, si sono seccati troppo e il trucco non riesce. Prima di infornarli, Meluzza esegue un passaggio ulteriore: bagna la parte sottostante con la punta di un dito appena inumidito d’acqua, per favorire la tanto anticipata “magia”. Sulla teglia rivestita di carta forno, i biscotti sono ben spaziati fra loro, e cuociono a 170°C per una ventina di minuti.
Quando estrae i biscotti dal forno la prima impressione è che la mia amica mi abbia giocato uno strano scherzo sostituendo le teglie. Infatti i dolci hanno un aspetto totalmente diverso. Soprattutto sembrano il prodotto di due impasti. Biscotti ben caramellati, ciascuno sormontato da una losanga bianca croccante, e cava! Nessun trucco: si tratta di una reazione chimica molto semplice: le componenti dell’impasto si separano durante la cottura. La parte esterna dell’impasto secca è invece leggermente umida all’intrerno, e col calore si scompone. Lo zucchero inizia a sciogliersi insieme alla farina speziata e, non avendo altra via di uscita che la base ancora umida, tende a “colare” proprio da quella parte sottostante, formando il biscotto. In superficie resta solo lo “scheletro”, appunto.
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