C’è un cuoco che ha insegnato agli inglesi a cucinare in maniera diversa, c’è chi dice addirittura a cucinare, ai londinesi in particolare. Un personaggio che con le sue ricette è riuscito a influenzare moltissimo la cucina anglosassone, cosa che potrebbe apparire semplice se si parte dal presupposto, o dal cliché, che quella tradizione gastronomica ha sempre avuto meno identità e piatti iconici di altre più blasonate (italiana e francese fra tutte). Pensarla così sarebbe riduttivo, perché Yotam Ottolenghi (nella foto) non solo ha insegnato a milioni di inglesi (e pure statunitensi) a ricreare quelle ricette che ha proposto nei suoi sette ristoranti di Londra, aperti col socio Sami Tamini, ma ha saputo creare una corrente di cucina unica che in molti hanno cercato di imitare. Ma come a volte accade anche nelle belle storie si annida il risvolto negativo.
Questo articolo è stato pubblicato sul mensile di agosto del Gambero Rosso
Ottolenghi ha origini israeliane: è nato nel 1968 a Gerusalemme da madre tedesca e padre italiano. Avrebbe dovuto intraprendere la carriera accademica, seguendo i genitori, ma dopo la leva obbligatoria nelle Forze di difesa israeliane, un master in letteratura comparata alla Tel Aviv University e un’esperienza da redattore di bozze per il quotidiano Haaretz, si è trasferito a Londra con la scusa del dottorato – che non ha mai conseguito – e si è iscritto invece a una scuola di cucina. Il resto è noto ai suoi fan: con Tamini, palestinese della città santa, ha aperto ristoranti di successo, da solo o con altri ha pubblicato ricettari iconici vendendo oltre 7 milioni di copie. La sua è la cucina di Ottolenghi, non ci sono altri modi di definirla, con influenze e ricette israeliane, palestinesi, turche, libanesi, italiane e californiane. Non è mai stato un crociato del mangiare senza spechi (i ricettari contengono un gran numero di ingredienti, a volte spropositato) né del vegetarianesimo (mangia carne) eppure è diventato famoso – scriveva anni fa il New York Times – “per aver reso chic il mangiare verdure”. Il Guardian nel 2006 gli ha affidato una rubrica settimanale intitolata The New Vegetarian, che ha poi portato a un libro best seller Plenty. L’ultima pubblicazione si intitola Comfort.
Londra è sicuramente la città dove è più tangibile la presenza di Ottolenghi, non solo per i ristoranti che portano il suo nome, ma soprattutto per i seguaci che negli anni hanno proposto quella cucina piaciona, dai sapori intriganti, identitaria, allergica agli impiattamenti creativi, da condividere. Negli anni c’è stata un’ottolenghizzazione dei ristorantini di quartiere, dei bistrot e a volte pure delle caffetterie. I suoi fan sono tantissimi, replicano, copiano, le sue ricette ovunque. È un bel movimento se non fosse che ogni volta che ti siedi ti sembra di mangiare sempre le stesse cose. Potrebbe essere un momento, le scene gastronomiche sono sempre in evoluzione, quella di Londra è fantastica per quantità e ormai anche per qualità, e di certo non è colpa di Ottolenghi, ma la speranza è che chi segue impari a creare e non semplicemente a eseguire.
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