Alla vigilia della riapertura, a Torino, serpeggiava un po’ di preoccupazione. Mista ad attesa. Quando si tocca un’attività storica, d’altronde, la nostalgia del passato e il valore di certi luoghi che hanno fatto la storia della città allertano i ricordi di chi in città è cresciuto facendo affidamento su punti di riferimento topografici e affettivi. Come l’emporio dei fratelli Paissa, 129 anni di storia sotto i portici di piazza San Carlo fino alla chiusura definitiva nel 2013 per sfratto, culminata due anni più tardi con la brutta procedura fallimentare che portò a cessare l’attività anche negli altri tre punti vendita aperti nel frattempo a Torino.
Le vetrine di Paissa dopo la chiusura dell’attività
Travolta dei debiti, terminava così la storia della rinomata bottega scrigno di delizie enogastronomiche in arrivo da tutto il mondo, riunite sotto l’acronimo Paissa: prodotti artigianali italiani stranieri società anonima. Una drogheria d’altri tempi, nata sull’onda delle prime grandi imprese d’importazione di generi coloniali in Italia nell’ultimo scorcio del XIX secolo, quando l’attività dei fratelli Paissa (realmente esistiti, poi ispiratori dell’acronimo ideato negli anni Trenta del Novecento, con il passaggio di proprietà) divenne rapidamente una delle insegne di riferimento di tutta la Penisola per l’importazione di droghe e coloniali, vendendo merci rare e introvabili altrove. Così, nei primi anni del Novecento, l’emporio dei Paissa diventò Fornitore ufficiale della Real Casa; e per tutto il secolo terrà fede alla sua vocazione, offrendo al pubblico una varietà pressoché sconfinata di prodotti alimentari, vini e delicatezze. Anche gli spazi, di chiare matrice tardo ottocentesca, hanno conservato nel tempo elementi di fascino come la devanture in noce che incornicia le undici vetrine allineate sotto i portici, rifinita dall’elegante zoccolo in marmo; o il lampadario in ottone cromato e onice, e i decori floreali di primo Novecento che impreziosiscono le vetrine all’interno.
Dunque rispettare la storia del luogo è stato il primo obiettivo del nuovo acquirente, che da un paio di settimane ha rialzato le serrande chiuse da anni. Dietro al restauro a al rilancio del locale c’è Biraghi, azienda cuneese impegnata da quattro generazioni nella filiera lattiero-casearia (dal 1934 a Cavallermaggiore), che ora dà il nome all’insegna, e quello spazio – di proprietà di due istituti di credito – si è impegnata a recuperarlo con spirito filologico, restaurando marmi e selezionando arredi ottocenteschi (gli originali non erano a disposizione) sotto la supervisione della Soprintendenza.
E in catalogo, per omaggiare la memoria dell’emporio che fu, Biraghi ha scelto di non proporre esclusivamente i propri prodotti, selezionando invece specialità gastronomiche di 152 aziende piemontesi, oltre ai prodotti di alcune realtà valdostane e al Pecorino Etico Solidale in arrivo dalla Sardegna, grazie all’accordo che lega Biraghi a Coldiretti Sardegna. Per la selezione dei vini, inoltre, l’azienda si è avvalsa della collaborazione della Banca del Vino di Pollenzo. Territorio, storia e persone sono i tre punti cardine che hanno direzionato gli sforzi, fanno sapere da casa Biraghi. Per questo una delle undici vetrine su strada è stata “musealizzata”, e ora ospita documenti originali che attestano la storia dell’emporio, oltre a una lettera dorata dell’insegna originale. All’interno il negozio si sviluppa su due piani in 200 metri quadri, per la vendita e l’esposizione storica: in una delle due sale del piano inferiore, infatti, ha trovato spazio l’Antica Farmacia Gambarova fondata a Biella nel 1740, restaurata e trasferita nel locale di piazza San Carlo, per garantire la visita al pubblico. Mentre i prodotti in vendita sono disposti ordinatamente tra vetrine e scaffali in legno di pioppo e noce, e nei banchi refrigerati.
Negozio Biraghi – Torino – piazza San Carlo, 196 – www.biraghi.it
a cura di Livia Montagnoli
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