Apre il 22 febbraio Joca, il nuovo ristorante di Gianluca D’Agostino a Chiaia, tra boutique storiche e botteghe artigiane, «è una zona vivace», dice lo chef. Che poi aggiunge: «Ci piace stare in mezzo ai giovani». Giovani e non, aggiunge poco dopo. D’Agostino torna così alla sua Napoli, dopo la lunga e feconda esperienza al Veritas, conclusasi due anni fa, e lo fa con un progetto tutto nuovo che mira a proporre un’idea di alta ristorazione fresca, dinamica, priva di certe ritualità talvolta esauste.
«Pur rimanendo sempre un fine dining guardiamo molto all’informalità che si trova in alcune capitali europee». L’obiettivo, spiega, è dare vita a un luogo in cui stare bene, stringere legami, conoscersi e riconoscersi. Il richiamo è quello del gioco, del resto JOCA allude a un modo di dire partenopeo: Pazzo chi joca e pazzo chi nun joca, a sottolineare l’esigenza di un poco di follia e leggerezza nella vita, un invito a mettersi in ballo senza prendersi sul serio, o magari prendendosi terribilmente sul serio un po’ come fanno i bambini.
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«Un fine dining inclusivo» lo definisce D’Agostino, a partire dal doppio binario della cucina: ristorante d’autore e tapas bar in un unico spazio in cui le sedute al lungo bancone di frassino olivato, ai tavolini alti e ai classici tavolini sono a disposizione degli ospiti senza per forza imporre aree di competenza tra un’offerta e l’altra. Quello che cambia, semmai, è l’orario e il tipo di fruizione del tapas bar che può rispondere a esigenze diverse, per il dopo teatro o per una tappa di inizio serata, complice anche una cantina che si propone di incarnare lo stesso dinamismo della cucina.
Duecentocinquanta metri quadri, 55 coperti in totale, due menu degustazione (5 corse a 75 euro, 7 a 100 euro), e due carte snelle, in cui si strizza l’occhio qua e là ad alcuni piatti storici di D’Agostino, ricontestualizzati per aderire la nuovo progetto, «partiamo da una base solida, ma c’è anche una proposta differente». Quale? «non posso dire un piatto o l’altro: sono come i figli» scherza. Nel complesso sono una dozzina le voci al tapas bar (8-18 euro) qualcuna in più al ristorante (17-27 euro, 10-12 i dessert), via la lunga sequenza degli amuse-bouche, via anche l’antologia della piccola pasticceria, alleggerire è la parola d’ordine, limando vecchie ritualità in favore di una veste più pop; anche la carta è svincolata dalla classica scansione in portate, proprio per accompagnare questa idea di offrire la massima libertà: «Volendo uno può anche prendere 2 piatti e dividere un dolce».
«Non vogliamo che il centro dell’attenzione sia la cucina: quando si esce lo si fa per stare con gli amici non con i cuochi o camerieri che si incontrano al ristorante», quindi meglio fare un passo indietro e pensare al ristorante con ottica nuova, creando un ambiente curato ma che vuole mettere a proprio agio l’ospite – «noi pensiamo e speriamo sia così anche per la cucina» – giocato tra materiali diversi: alluminio, legno, ferro, vetro, cemento e poi specchi a creare nuove prospettive negli spazi animati da colori vivaci, come il rosso del grande divano, a comunicare un’atmosfera informale. Un progetto firmato da progetto studio Gnosis in collaborazione con l’arredatore Luigi Fabbrocini, l’interior designer Veronica Abbate che si cela dietro grandi portali in lamiera e un maniglione rosso.
JOCA ristorante e tapas bar – Napoli – Vico Sospiri 10B / 10C
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