Giancarlo Morelli, chef e imprenditore bergamasco che si divide – lavorativamente parlando – tra la Lombardia (a Milano, dove si trovano il Morelli e il Bulk, e a Seregno, sede della sua prima insegna, il Pomiroeu) e la Sardegna (Phi Beach a Arzachena), sta vivendo questo periodo in maniera diversa dagli altri colleghi: l’incidente in montagna che ha subito gennaio lo ha portato a vivere un’esperienza molto particolare, la gravità delle sue condizioni lo ha costretto a lungo in un reparto di rianimazione; un’esperienza che ha lasciato il segno: “la luce accesa per 24 ore, il rumore continuo, sapere che chi ti sta accanto sta giocando tra la vita e la morte, sono cose che mi hanno molto colpito. Oggi sto affrontando questa riabilitazione, che mi costringe ancora a rimanere solitario in ospedale, con uno spirito rinnovato”. Con lui però abbiamo voluto affrontare lo stesso l’argomento, legato al futuro della ristorazione.
Ne hai passate tante nella vita, anche ultimamente, con l’incidente che ti è accaduto ti sei trovato in una nuova dimensione. Questa volta cosa c’è di diverso?
Potrà sembrare strano, e lo capisco, considerando quello che stiamo tutti vivendo, ma io sono contento di esserci, anche se non è un bel momento. Sono sereno perché ho rischiato la vita sulle piste da sci a gennaio, e riuscire oggi a condividere questa fase della mia esistenza con i miei cari è importante. È una battaglia da vivere tutti insieme, anche se è dura da passare.
Riesci a vederli?
Devo rispettare la quarantena e quindi mi sento con tutti ma non posso star loro vicino.
Uomo, cuoco, imprenditore: cosa prevale in questo momento?
Indubbiamente l’uomo, perché senza questa dimensione si perde quella di cuoco e imprenditore. Ed è proprio il lato umano che mi fa pensare molto ai miei ragazzi, che per me non sono dipendenti e basta. Con loro ho condiviso successi e insuccessi, esperienze di vita andate oltre al lavoro in cucina; quindi spero che si possa tornare il prima possibile alla normalità lavorativa.
Cosa si è perso definitivamente dopo questa tragedia?
Abbiamo perso la memoria storica degli anziani, quelli che hanno vissuto una vera tragedia come la Seconda guerra mondiale e che ci hanno fatto capire tante cose. Per esempio come la loro fatica ci abbia permesso di vivere in maniera splendida tutti questi anni. O che forse ce ne stavamo approfittando, pensando di poter fare cose impossibili, quasi immaginare di essere in grado di volare, un giorno. Siamo orfani della saggezza popolare.
In che modo cambieranno la cucina e la ristorazione?
Me lo chiedo spesso, è un argomento con il quale mi confronto e lo faccio anche con i miei collaboratori…
Risposte?
Al momento non è facile dare una risposta.
Per quanto riguarda te nello specifico?
Io posso dirti quale è stata la mia evoluzione e come credo continuerà il mio percorso: vengo dalla campagna, la mia cucina è sempre stata semplice e sana, mi è piaciuto imparare dalle basi classiche dalle quali ho sempre attinto e che rimangono le fondamenta di ciò che propongo.
Non c’è il rischio di fossilizzarsi?
No, assolutamente. Per esempio il mio risotto alla milanese ha compiuto 40 anni: dal 1980 non è rimasto immutato, si è adattato ai tempi, ma rimane ancorato a delle certezze che soddisfano i clienti. Proprio i clienti sono le persone che hanno fatto la mia fortuna e quella dei miei colleghi, sono cresciuti con noi, ci hanno seguito ma sono stati anche in grado di limitarci quando siamo stati eccessivi.
Dalle disgrazie nascono speranze: quali sono le tue?
Ripartiremo. La speranza è che lo si possa fare con calma e riflessione, affinché questo momento storico non sia vissuto solo come una difficoltà da superare, ma anche come l’opportunità per trovare una strada percorribile in maniera più umana e sostenibile.
a cura di Leonardo Romanelli
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