Quella bestia dell’Ottavio mi chiama e mi fa: «Sto guardando il navigatore, mi mancano due ore per Chiusi». «Ottimo, ma non dovevi essere qui per pranzo, mezz’ora fa? Noi stiamo entrando». E così finisce che, nonostante la prenotazione per tre, ci presentiamo in due alla Solita Zuppa, osteria con più chiocciole che posate. Ricevuta l’infausta novella, l’oste, uomo rubicondo e irritabile, fa una mezza giravolta su se stesso e urla: «Siete in dueee? Ma noooo». Lo guardiamo sbigottiti. Prosegue con voce vibrante: «Ma cosa si fa, come è possibile? Non sapete il danno? Forse non avete a che fare con la ristorazione».
Placata l’ira funesta del Pelide Andrea, ci sediamo, felici come sulla poltrona del dentista, non senza far notare che noi ci siamo eccome nella ristorazione – non nel senso del Gambero, che non viene menzionato -, ma nel senso che la collega è titolare di ben due ristoranti. E che quando c’è una persona in meno o in più, non si fanno giravolte acrobatiche, non si lanciano imprecazioni: ci si prodiga a risolvere, con il sorriso, perché fa parte delle regole d’ingaggio per un ristorante.
Augurando lunga vita alla Solita Zuppa, osteria mirabile, e all’Andrea (un po’ di nervosismo ci sta), raccontiamo l’aneddoto perché rientra nella guerra fredda in corso tra ristoratori e clienti. I primi talvolta si inviperiscono contro chi è in ritardo di cinque minuti e giustamente schiumano rabbia contro i furbetti del «no show», quelli che prenotano tavolate da 10 e poi spariscono, esibendosi in un ghosting perfetto. I clienti considerano spesso i ristoratori come lestofanti legali, venditori di fuffa a peso d’oro. Contro i desaparecidos – clienti tendenza farabutto – è sempre più diffusa la richiesta di una carta di credito a garanzia. Hai prenotato per 10 e non vieni? Paghi 30 o 50 euro a coperto.
Foto di Krutarth Shah per Unsplash. In apertura, foto di Jessie McCall/Unsplash
Tempo fa ho avuto un altro «incidente». Ho prenotato online l’ottimo Consorzio di Torino, con largo anticipo. Troppo. Un giorno, mentre a Milano mi godo un Fricandò, il cellulare mi avvisa di un prelievo di 160 euro da Torino. Ohibò: la sanguisuga è proprio il Consorzio. Rapida ricognizione interna, neuroni che fumano, poi l’illuminazione: ho sbagliato mese. La chiamata di chiarimento (con supplica e offerta di riprenotazione) è inutile. Loro, inflessibili, io con 160 euro in meno (40 a coperto).
Eppure non è arrivato nessun reminder il giorno prima. Ma se state per succhiarmi tutta questa grana, non sarebbe il minimo avvertirmi? E magari anche graziarmi, visto il disguido? Cari amici ristoratori, vi imbestialite per una minima variazione, come alla Solita zuppa, e poi, come al Consorzio, dimenticate di avvertirmi che rischio un salasso se mi distraggo? Insomma, tra il «no show» del farabutto e il minimo cambio di programma o la svista di un uomo confuso c’è un abisso, no?
(A proposito: ma il «no show» dei grandi chef che in cucina non ci stanno mai non meriterebbe un bel rimborso?)????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????
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