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Caffè specialty? Sì, ma solo se la brioche è all'altezza. Perché è controproducente avere una pasticceria mediocre

I caffè specialty da soli non bastano. Se il cliente non è incuriosito dal caffè, cerchiamo di catturare la sua attenzione attraverso il cibo

  • 19 Febbraio, 2024

Un flat white d’avena per favore, e poi un… cornetto surgelato bicolore, con crema di vanillina. Anzi, no, meglio ancora quella brioche del grande laboratorio che rifornisce un po’ tutta la città, con glassa di zucchero e impasto alla margarina. C’è qualcosa che stona, non trovate? E no, non è la bevanda all’avena (sempre sia lodata). Perché offrire caffè specialty, di piantagione, chicchi tostati da piccole torrefazioni italiane e straniere che lavorano a diretto contatto con i coltivatori, con sistemi sostenibili… e poi abbinarci un prodotto tutt’altro che di qualità, tantomeno sano?

Caffè di qualità per dolci di livello

Capita purtroppo di imbattersi in insegne con attenzione all’oro nero (non sono ancora molte, ma il panorama sta crescendo e a noi piace essere fiduciosi) e un’offerta gastronomica che lascia un po’ a desiderare. Così come accade il contrario, che anzi è (quasi) la norma: pasticcerie di gran livello, eleganti bar con dolci scenografici, tramezzini golosi e lieviti sfogliati, che offrono poi tazzine deludenti, se non scadenti. Come se la bontà di un bombolone alla crema potesse far dimenticare il sapore bruciato e amaro dell’espresso.

Quando la pasticceria è scadente

Se si tratta di un’attività giovane qualche compromesso iniziale è inevitabile, però parlare di consumi consapevoli, cercare di fare (con difficoltà) informazione sul mondo del caffè e affiancare a un’ottima tazza dei dolci poco invitanti è controproducente. Siamo onesti, una volta per tutte: noi italiani pensiamo di sapere tutto sull’espresso, ci riteniamo i numeri uno nel campo, ma la verità è che non lo conosciamo, lo ignoriamo, dandolo per scontato e relegandolo a ingrediente “a corredo”, di accompagnamento a una buona fetta di crostata. Sul cibo, invece, siamo più esigenti, e una sfilza di croissant in qualunque caso catturerà di più l’attenzione di un V60.

Usare i dolci per parlare del caffè

Ecco, considerando questa propensione dei consumatori, proporre dei caffè di livello senza del cibo che ne sia all’altezza non è solo questione di coerenza, ma di strategia. Chi sceglie di dedicarsi agli specialty è un barista che ha investito in corsi di formazione, macchinari, personale e materia prima: sarebbe un vero peccato che un ciambellone asciutto rovinasse tutto questo lavoro.

Con un morso a un delizioso pain suisse o un banana bread fatto in casa, anche il più convinto, il più tradizionalista dei consumatori sarà più incline a provare un espresso diverso, e soprattutto a pagarlo il giusto prezzo. Insomma, se la curiosità verso il caffè non nasce spontaneamente, la si può sempre stimolare attraverso un buon dolcetto… a pancia piena, siamo tutti più gentili. E chissà, magari anche più aperti.

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