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Crisi economica e ristorazione: il lusso resiste, i format popolari non si arrendono

L’analisi del centro studi Pambianco sui principali gruppi del comparto evidenzia che il lusso non sta soffrendo della crisi economica e delle preoccupazioni geopolitiche mentre i marchi popolari vivono un momento difficile a causa della minor predisposizioni delle fasce medie a spendere per il fuori-casa

  • 29 Ottobre, 2023

Il lusso tiene, il medio resiste. E’ l’analisi dell’Ufficio Studi Pambianco sulla ristorazione italiana che, dopo un 2022 entusiasmante per il fine dining e soddisfacente per la fascia più popolare, dopo l’inevitabile crollo dei due anni contrassegnati dalle limitazioni per la pandemia, è tornata nell’anno in corso a confrontarsi con criticità alcune prevedibili (l’effetto rimbalzo, l’inflazione) e altre imponderabili (le preoccupazioni per l’instabilità geopolitica, per esempio).
Guai che hanno frenato più i format quotidiani, mentre la fascia alta sembra quasi impermeabile alle fibrillazioni economiche e storiche, come spesso accade.

Vola la Langosteria

Partiamo per l’appunto dell’alta ristorazione e dai marchi di maggiore fatturato che non soffrono troppo anche se ovviamente è lontano il clamoroso +64 per cento di ricavi del 2022 per le prime cinque realtà. Il gruppo che meglio si è comportato è il milanese Langosteria, per il quale è previsto un giro d’affari per il 2023 di 56 milioni, tenendo conto i ristoranti di Parigi e St. Moritz, quest’ultimo aperto a inizio anno. Il gruppo fondato da Enrico Buonocore aveva archiviato il 2022 con 28,2 milioni di ricavi (tenendo conto solo dei ristoranti italiani, quelli di Milano e quello di Paraggi), a fronte dei 19,4 milioni del 2019. Si sorride anche Da Giacomo, che spinge sull’internazionalizzazione per consolidare il boom del 2022 (19,8 milioni contro i 7,7 milioni del 2019) mentre Massimo Bottura grazie ai nuovi progetti passa dagli 11,3 milioni del pre-Covid ai 18,2 milioni del 2022. Il Gruppo Alajmo grazie alla ristrutturazione aziendale, alla nuova piattaforma per l’e-commerce e al rilancio della Alajmo Academy dovrebbe concludere l’anno in corso con 20 milioni di giro d’affari dopo i 16 del 2022 che era un dato già migliore del pre-Covid. Infine i fratelli Cerea, che crescono da 8,4 a 14,3 milioni, numeri che rappresentano però solo circa un terzo del fatturato totale, la maggior parte del quale è dato dai grossi volumi del catering.

Colossi dai piedi d’argilla

Dati meno positivi per i marchi di ristorazione popolare, che si rivolge a un pubblico meno facoltoso e quindi più preoccupato dalle incertezze di questo scorcio storico. Nel 2023 i primi cinque marchi avevano registrato ricavi per 1.262 milioni, praticamente allo stesso livello del 2019 (1.273) ma difficilmente il 2023 si chiuderà su cifre simili. Il colosso Cremonini ha chiuso il primo semestre in lieve crescita ma difficilmente a fine anno chiuderà superando i 662 milioni del 2019 o anche i 636 del 2022. Cigierre nel 2022 ha quasi pareggiato il 2019 (386 milioni di ricavi in ristorazione rispetto a 388) e per fine pronosticava 550 milioni di consolidato di gruppo, un dato che appare decisamente ottimistico alla luce del secondo semestre. My Chef Ristorazione ha recuperato meno, chiudendo il 2022 a 143 milioni (26 in meno del 2019), e potrebbe essere presto superato da La Piadineria, che ha chiuso il 2022 a 139 milioni di fatturato consolidato, surclassando i 98 milioni del 2019 e sta continuando con questo passo svelto. Infine Vera Ristorazione che ha chiuso il 2022 con 58 di fatturato contro i 74 del 2019 e sembra ancora in difficoltà.

 

Foto di Jay Wennington

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