Della vicenda dei tre chef lucchesi che hanno restituito al mittente la stella Michelin è stato detto di tutto negli ultimi giorni, ma forse c’è ancora qualcosa da dire. Contrariamente ad altri casi famosi di chef che in passato hanno cestinato il “macaron“, in questo caso si tratta di giovani ed entusiasti, che in teoria dovrebbero baciare la pantofola dei soloni francesi che da cinque anni li inseriscono – bontà loro – nel ristretto novero dei ristoranti che “meritano la tappa”, spalancando loro il sol dell’avvenire. E’ il primo caso del genere nel nostro Paese. E questo possiamo spiegarlo in mille modi, dai più poetici ai più cinici, ma può e deve insegnarci qualcosa.
I tre chef lucchesi non sembrano in alcun modo mettere in discussione l’autenticità, il valore e l’onestà della distinzione micheliniana né hanno motivo di astio e polemica nei confronti della Rossa, anche se più di qualcuno tra i tanti che hanno messo becco in questa vicenda ha ipotizzato che la Michelin avesse già deciso di non confermare il riconoscimento e che i tre lucchesi, sentendo puzza di bruciato, abbiano deciso di non mettere il proverbiale culo davanti ai calci. Semplicemente sembrano non averne bisogno, e questo è l’affronto più punk che la Rossa possa subire.
Un piatto del Giglio
Certo, una rondine non fa primavera, ma il “nessuno mi può giudicare” di Benedetto Rullo, Lorenzo Stefanini e Stefano Terigi è certamente il segnale di una disaffezione se non addirittura di un disinteresse da parte delle nuove generazioni davanti all’onorificenza più ambita del mondo gastronomico. E in questo si parla non solo degli chef e dei ristoratori, ma anche degli stessi clienti. Se è vero che, come sostengono i tre, la stella Michelin influisce sulle aspettative loro ma anche su quelle degli ospiti, che si tengono lontani da un ristorante medagliato che vedono come paludato, aristocratico, disagevole, forse è il momento di chiedersi se certi parametri rigidi che fanno riferimento a un cliente ideale adulto – molto adulto – altospendente e amante del lusso non siano inadeguati a fotografare i desideri di un pubblico più giovane, che in una cena vede un momento di relax e di socialità e non “un’esperienza” e “un percorso”. Nell’epoca dell’inclusione, l’essere esclusivi può essere il più grave dei peccati.
Due degli chef del Giglio con al centro Yannick Alléno. Alle loro spalle la stella Michelin
Da questo punto di vista la “compagnia dei celestini”, con riferimento a Celestino V che nel 1294 rinunciò al pontificato, potrebbe non aver praticato uno spericolato atto di marketing o anticipato una retrocessione, ma lanciato un segnale ben preciso al mondo delle guide, in particolare alla Michelin che – pur avendo diversi chef giovani tra quelli stellati – è legata a criteri decisamente antiquati. I giovani di Lucca sembrano – non volendo, o forse sì – scrivere un nuovo manifesto dell’alta gastronomia “under 40”. Non bastano i paternalistici seppur graditi menu a prezzi agevolati che alcuni ristoranti propongono, per attirare una clientela più giovane servono una maggiore libertà espressiva, l’assenza di regole rigide che spesso sembrano imprigionare la fantasia e inamidare la clientela, l’accessibilità concettuale ed economica. I vecchi fanno le regole, i giovani le infrangono, è così da che mondo a mondo. Mica solo a Lucca.
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