C’era una fontana prima all’interno del mercato rionale della Torretta di Napoli. Concetta se la ricorda bene quando da bambina ci giocava attorno con i suoi due fratelli Diego e Vittorio. «Stavo per sposarmi quando la distrussero, dicevano che il mercatino si doveva rimodernare». E, invece, quel mercato, con o senza fontana, è rimasto sempre lo stesso, una struttura coperta dove da quasi sessant’anni si succedono generazioni di pollivendoli, macellai e fruttivendoli in quel ossimoro onnipresente tra la storica povertà della città e la sua arte allegra di campare.
E dal 1968 pure quell’insegna in fondo al mercato è rimasta sempre la stessa “Cibi Cotti nonna Anna”. Un cartello con le lettere dai colori ancora vivaci che sembra far parte del corredo iconografico della struttura.
«Era il ’67 quando mio padre fece richiesta al Comune per uno degli spazi in concessione, voleva aprire un negozio di utensili, mia mamma Anna lo convinse, invece, ad aprire una tavola calda».
Anna lì cucinava come a casa, pasta e patate, pasta e piselli o pasta e ceci o fagioli: «La sera metteva a mollo i legumi col bicarbonato – il fornitore di allora, la ditta Russo, è lo stesso anche di oggi – Mamma non sapeva neanche che cosa fossero i fagioli in scatola».
E poi le polpette, le zucchine alla scapece, le alici fritte: «Era pure capace di cucinare a parte, per una singola persona. C’era un cliente che si portava l’olio suo». Anna li trattava tutti come familiari: «Ancora oggi i clienti più affezionati vengono e si sentono a casa».
«Era per il popolo – racconta con un filo di nostalgia Concetta – aveva un occhio di riguardo per gli operai, a loro gli faceva sempre le porzioni più grandi rispetto agli impiegati». E grazie a quella sua cucina Anna ha saputo unire rimandi culturali e sociali, in un quartiere, la Torretta, che è sempre stato una borgata popolare incastrata tra le vie buone della città, con Viale Gramsci e i suoi bei palazzi neoclassici affollati di citofoni di studi legali e medici da un lato e dall’altro con la Riviera di Chiaia e quella sua vivace borghesia che da Villa Pignatelli in giù cambia di colore sfociando in una culla aristocratica quasi borbonica che arriva a Piazza Vittoria.
Ma da Cibi Cotti si è sempre mangiato dove c’è posto, con l’avvocato seduto accanto all’operaio e davanti a quello stesso piatto di pasta e zucca i due si spiegano a vicenda, così mentre si parla di subappalto e di ricorsi da depositare scatta l’inevitabile discussione di un fuorigioco non riconosciuto al Napoli.
«È così da sempre, mia mamma qui ci ha messo l’anima». Concetta racconta che Anna era una donna tutta d’un pezzo, incinta del terzo figlio era lei che andava a cercare i ceci e i fagioli. «Poi mio padre se ne è andato con un’altra donna», e quando l’amore si è sgretolato la sua cucina l’ha salvata: «Metteva tutti i nipoti vicino ai fornelli, qualcuno grattava il Parmigiano, qualcuno sbucciava i fagiolini, mentre qualcun’altro stava ancora a giocare a pallone nel mercato», racconta Sabrina una delle nipoti di Anna. «Ci dovrebbe essere anche un servizio televisivo fatto dai giapponesi con tutti i tavoli messi in mezzo alla sala e i nipoti che con le forchette cercavano di fare gli gnocchi con mia mamma», ricorda Concetta.
Anna da quella sala non se ne è mai andata, è stata lì a pulire friarielli e a sbucciare patate fino alla fine: «Si era rotta il femore e si faceva portare tutte le mattine al mercato. Non badava al dolore, si concentrava sulle cose da fare». E facendo facendo ha sistemato tutta la famiglia. Sabrina, ad esempio, la figlia di Concetta, sa stirare il casatiello come lo faceva la nonna, mentre è a Vincenzo che ha lasciato la gestione di una tavola calda che continua ad essere sempre affollata.
La cucina è rimasta, invece, il regno di Lino: «C’è sempre stato», racconta ancora Concetta. Lei, invece, alla cassa ci si è messa appena è andata in pensione: «Facevo l’impiegata statale prima». Ma da oltre vent’anni, questa vispa donna ora ottantenne, è sempre lì a fare i conti, con quel pre-conto ancora scritto a penna sui fogli di block-notes a quadretti.
Sono le 12.30. Si va in scena. Oggi accanto alla pasta e ceci, al baccalà alla pizzaiola e alle alici fritte c’è pure la linea “fit” creata da Vincenzo: «La memoria è tutto, ma pure mia mamma, come Vincenzo, ha fatto le sue evoluzioni». Cos è nata la crostata di genovese, diventata oggi una tradizione da Cibi Cotti: un sugo alla genovese fatto consumare piano piano «e poi ripassato sotto al forno con le tagliatelle, le polpettine e la provola». Guai, però, a non proporla anche in versione classica, con una lunga rosolatura della carne in cui l’uso della cipolla è tanto sconsiderato quanto necessario per un ragù senza sugo, marroncino e denso ottimo per condire gli ziti. «Io poi ho proposto una zuppa di ceci e zucca che ancora si fa», racconta Vincenzo: una novità che convive con le classiche lenticchie e spinaci o fagioli e scarole.
Insomma, una cucina, quella di Cibi Cotti, che non è mai rimasta uguale a sé stessa, eppure sempre fedele, così oggi, magari, quel poco di sugna nel ragù o quel pezzetto di lardo nella pasta e fagioli non si mette più – «perché si dice che fa male» – ma si continua «a non congelare niente e non si usano i prodotti in scatola». Insegnamenti, questi, che si è portato anche Vincenzo nella sua attuale gestione. E forse c’è anche un certo pizzico di vanità nel non cambiare mai le cose, con quella cucina che è rimasta uno dei pochi capisaldi della scuola napoletana a non cedere mai, neppure alle orde di turisti che ora affollano quella tavola calda segnalata in tante guide turistiche ed enogastronomiche. «Anzi, loro questo cercano».
Finito il pranzo si mette a posto, le cucine si puliscono, Concetta e Vincenzo chiudono la serranda… «Ci vediamo domani». Dal 1968.
Cibi Cotti Nonna Anna – Napoli – via Ferdinando Galiani, 30 – 081 1786 3673 – @cibicottinonnaanna
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