Non solo cuoppo e pizza fritta: a Napoli lo street food è anche quello dei vecchi trippai

3 Gen 2025, 09:11 | a cura di
Il cibo di strada è parte fondamentale della cultura gastronomica di Napoli, quello a base di frattaglie tra i pilastri più rappresentativi di una cucina povera, che non spreca nulla

Durante il periodo borbonico, Napoli era una città molto popolosa, segnata da una forte disuguaglianza economica tra le classi sociali. Questa disparità ha portato la popolazione a reinventarsi, soprattutto in ambito culinario: la cucina povera, infatti, si distingueva per la sua ingegnosità, trasformando ingredienti di scarto in piatti ricchi di sapore e sostanza. Nella cucina popolare partenopea, niente veniva sprecato.

La tradizione delle zendraglie

Una volta, i tagli meno pregiati degli animali, le interiora e scarti di lavorazione, venivano gettati letteralmente dalle finestre delle case nobiliari e recuperati dai poveri per sfamarsi. Da questa usanza deriva il termine “zendraglie”, che traduce il francese “entrailles", viscere, interiora. Quando il popolo partenopeo sentiva gridare "Les entrailles!", sapeva che i servitori di corte (spesso i cuochi erano francesi) annunciavano che stavano per gettare i resti delle cene di palazzo, e le persone, soprattutto le donne, affamate, accorrevano per accaparrarsi un pezzo di carne tra urla e frastuoni.

Tripperia Fiorenzano - Pignasecca, Napoli

Il piede e il muso

Nel dopoguerra e nei decenni successivi, tra Napoli e zone limitrofe, arrivando alle propaggini dove l’entroterra napoletano incontra le altre province, soprattutto quella di Salerno con l'agro nocerino-sarnese, si diffondeva la lavorazione di o’ per e o’ muss. Pietanza tradizionale povera, o’ per e o’ muss si preparava con il piede di maiale e il muso del vitello, parte di una cucina antispreco, perché venivano utilizzati tutti i tagli di carne e non si buttava via niente. Al piede e al muso si aggiungevano anche altre frattaglie, tra cui la trippa. I pezzi di carne venivano depilati, bolliti, raffreddati e serviti tagliati molto sottili, a fette lunghe, dette “alla carrettiera”, aggiungendo abbondante sale e limone.

Tripperia Fiorenzano - Pignasecca, Napoli

L’impiattamento davanti al cliente

Le teste e i piedi venivano bolliti in bidoni pieni d’acqua e tutto il procedimento si prolungava fino al mattino; ad aspettare la fine della lavorazione c’erano i venditori, chiamati “per e mussar”, che con i propri carretti erano pronti a partire per vendere la preparazione in giro per le città, insaporendola con sale e limone. Per salare o’ per e o’ muss veniva utilizzato un caratteristico strumento, un corno di animale bucato all’estremità, che fungeva da dosatore. Oggi purtroppo è difficile vedere ancora questo strumento e il suo rituale di utilizzo, che caratterizzava tutta la procedura di “impiattamento” che di solito avveniva al momento, davanti al cliente.

Tripperia Fiorenzano - Pignasecca, Napoli

Cibo di strada

Tutt'ora la preparazione è considerata uno degli street food tradizionali per eccellenza in Campania, legato ai ricordi d'infanzia e alle feste patronali. O’ per e o’ muss lo si può acquistare dai carnacottai, venditori di carni cotte (detti in dialetto “i carnacuttar”), caratteristici chioschi con vetrine a vista, dalle quali si osservano solitamente i pezzi di carne sotto acqua corrente e i limoni di contorno. A Napoli, questi chioschi si trovano nel centro storico, in particolare nella zona di via Pignasecca, con il suo caratteristico mercato.

Invece, in occasione di sagre, feste di paese e soprattutto nei periodi estivi, o’ per e ‘o muss ricompare su tutto il territorio regionale e viene venduto dai “per e mussar” tramite postazioni ambulanti, vetrine mobili o Apecar, servito in vaschette di plastica o, più tradizionalmente, su fogli di carta oleata.

A cura di Federica Capuano, Master in Comunicazione Multimediale dell'Enogastronomia - Università degli Studi Suor Orsola Benincasa (Napoli) in convenzione con Gambero Rosso Academy.

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