
«Quello che sta succedendo in Italia con i vini dealcolati è pazzesco. Francia Germania e Spagna ci hanno superato usando i nostri stessi vitigni, mentre noi siamo ancora fermi. Da produttore italiano me ne vergogno». Parla senza filtri Martin Foradori, ceo di Tenuta J. Hofstätter, riferendosi alla produzione di vini dealcolati, bloccata per colpa di un cavillo burocratico, che non permette tutt’ora – e nonostante il nuovo decreto legge di gennaio – alle aziende di poter avviare la produzione sul territorio nazionale, così come ha denunciato Unione italiana vini. «Purtroppo, in questo momento di chiaro c’è ben poco – continua Foradori – nessuno sa risponderci sul tema delle accise. In Germania sembra tutto facile, mentre in Italia si parte col piede sbagliato».
Il produttore altoatesino, che da anni ha lanciato la linea no alcol, appoggiandosi ad uno stabilimento tedesco, rimanda al mittente le critiche sul vino senza alcol: «Trovo ridicola questa continua discussione sui vini dealcolati perché il vero nemico non è il dealcolato, che viene sempre dalla filiera vino. A mio avviso è più preoccupante se il consumatore preferisce il Martini al vino».
Poi, guardando al futuro chiede maggiore chiarezza in etichetta, proponendo di dare «una territorialità anche ai vini dealcolati per non produrre vini anonimi. Sarebbe un valore aggiunto».Per farlo, però non basta produrre vini generici ma bisognerebbe far entrare i no alcol anche nel sistema delle Igt, se non delle Doc.
Un tema scottante, quello di delacolati e denominazioni d’origine, su cui i produttori si sono confrontati anche nel corso dell’ultimo Vinitaly, nel dibattito “Zero Tasting” nello stand del Gambero Rosso. «Non credo serva aprire alle Doc, basterebbe mettere in evidenza il vitigno» è il parere di Marzia Varvaglione, che in tempi non sospetti lanciò la linea 12 e mezzo (riferito alla gradazione alcolica) a partire da vitigni pugliesi di solito spinti fino a gradazioni molto più alte. Dallo scorso anno ha anche dato il via alla produzione zero alcol: «Fino allo scorso Vinitaly avevo quasi paura a nominare la parola dealcolato. Adesso le cose vanno meglio e ci siamo posizionati in una nicchia di mercato complementare – e non sostitutiva – al vino tradizionale. Alla fin fine, altre bevande zero alcol, come la birra, sono sdoganate, perché il vino no?».
L’importante è tenere i delacolati dentro alla categoria vino – è il parere di Flavio Geretto direttore commerciale di Villa Sandi – poi ovviamente il connubio con il territorio è fondamentale, quindi anche parlare di vitigno e denominazioni. Col tempo si dovrà affrontare la questione».
Mionetto, che nell’ultimo anno ha raddoppiato la produzione da 2 a 4 milioni di bottiglie, ribadisce la sua volontà di portare la produzione in Italia una volta superati gli ostacoli burocratici: «Oggi per i dealcolati abbiamo la casa madre in Germania e possiamo produrlo lì, ma vorremmo portarlo in Italia perché il know how delle aziende italiane di macchinari non è paragonabile – spiega il direttore tecnico Alessio Del Savio che rivela di star lavorando con vini a base Glera per «accorciare sempre di più le distanze con il Prosecco, strizzando l’occhio alla denominazione».
. Il nostro Paese può dare il suo contributo soprattutto dal livello qualitativo, per questo ci auguriamo che le modifiche del decreto arrivino al più presto».
«Ci viene detto di andare per tentativi e questo comporta un rischio anche reputazionale, ci crederemo veramente nel momento in cui verrà fatta chiarezza su tutta la normativa, dalla produzione all’etichettatura», conclude Per Pierluigi Guarise, ceo di Collis Wine Group.
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