Dazi a parte, questo 57esimo Vinitaly potremmo definirlo il Vinitaly delle prime volte. La prima volta dei Commissari europei in fiera; la prima volta dei Raw wine dentro alla manifestazione (alla loro prima volta anche in Italia); la prima volta di Vinitaly Tourism; la prima volta di Amphora Revolution dentro al perimetro fieristico; la prima volta senza Sol (che ha trovato collocazione temporale a marzo). Ma in mezzo a queste prime volte c’è anche un’ultima volta che pesa parecchio. Quella dell’amministratore delegato di Veronafiere Maurizio Danese.
Ultimo Vinitaly da amministratore delegato. Cosa farà Maurizio Danese nel suo day after?
Ultimo Vinitaly, punto. Non avrò altri ruoli dentro Veronafiere. Ho un’azienda di food e ho fatto la scelta di dedicare il mio tempo totalmente a quella.
Soddisfatto di questa ultima edizione? Come la ricorderà, a parte l’associazione inevitabile ai dazi di Trump?
Credo sia stata un’edizione molto interessante. Paradossalmente, grazie ai dazi, Vinitaly ha dimostrato di essere un centro di relazioni, dove si creano le condizioni per tutelare il vino italiano. In fiera ci sono stati vari confronti con il mondo politico e, per la prima volta, anche con i Commissari europei alla Salute e all’Agricoltura che hanno spiegato come anche l’Europa abbia cambiato rotta sul tema alcol e salute. La filiera, riunita a Verona, ha dimostrato di saper restare unita. Perché in Italia siamo così: quanto tutto va bene ci dividiamo, ma quanto ci sono dei problemi siamo capaci di fare sistema.
Trump come opportunità di fare gruppo, quindi. Ma cosa ne pensa della sua politica sui dazi: il vino italiano riuscirà a cavarsela anche stavolta?
Ce la faremo grazie alla forza del Made in Italy. Meglio evitare drammi. Credo che Trump abbia lanciato il sasso, per poi sedersi al tavolo delle trattative. Se riuscissimo ad abbassare la percentuale delle tariffe potremmo giocare ad armi pari con i nostri competitor tassati al 10% (poche ora dopo, l’auspicio di Danese diventa realtà; ndr).
Mentre parliamo le agenzie lanciano la frase shock di Trump: “Tutti mi chiamano per baciarmi il culo”. Danese ride: «Ah, però! È il suo modo di parlare». Qualche ora dopo questa intervista arriva, infatti, l’annuncio della sospensione dei dazi per 90 giorni e di una percentuale del 10% nel periodo ponte.
Le va di ripercorrere questi suoi dieci anni al vertice di Veronafiere? Quali sono state le principali evoluzioni della fiera?
Tra le principali tappe ricordo il 2015 che ha segnato il grande investimento sulla parte internazionale, rendendo il marchio forte anche all’estero. Nel 2016, invece, partendo dalla critica sui troppi wine lover in fiera, abbiamo separato la parte b2b da quella b2c, con il format Vinitaly and the City. E i risultati oggi si vedono: da 160 mila presenza in fiera oggi siamo passati alla metà: un buon segno. Fuori dalla fiera abbiamo creato un prodotto importante e scalabile, che lo scorso anno abbiamo portato anche fuori regione, in Calabria.
A proposito della trasferta a Sibari, quest’anno ripeterete l’esperienza?
Sì, torneremo a Sibari per la seconda edizione di Vinitaly and the City. Nato come necessità, questo format sta diventando una grande opportunità che abbina arte cultura e vino. E altre regioni ci hanno contattato per replicare.
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Dicevamo di questi dieci anni. Qual è stato il momento più difficile che ricorda?
Probabilmente quello del Covid. Ma lo è stato per tutti. E proprio da lì ci siamo ulteriormente rafforzati, sia grazie ai ristori, sia attraverso un aumento dei capitali da parte dei soci che ha messo in sicurezza la fiera.
Rimpianti?
Nessuno.
Che Vinitaly lascia a chi le succederà?
Un Vinitaly che guarda al futuro. Siamo sulla strada giusta. Le scelte fatte in passato sono diventate irreversibili, soprattutto lì dove abbiamo deciso di investire parte delle risorse dell’incoming del trade. Un’intuizione corretta e i risultati oggi li vediamo negli oltre 30mila buyer presenti in fiera.
Su cosa si dovrà ancora lavorare per arrivare ad un Vinitaly perfetto?
Lavorare ulteriormente con i buyer selezionati affinché tutte le aziende possano trovare soddisfazione. Senza dimenticare che metà del vino viene consumato in Italia, dove ci sono piccoli buyer che possono fare il futuro di molte aziende.
Un altro tema che ha tenuto banco in questa edizione della fiera è stato quello dei vini dealcolati. Lo scorso anno ci aveva detto che anche Vinitaly prima o poi avrebbe avuto un Padiglione dedicato, come ProWein. È ancora di quell’idea?
L’idea c’è, ma bisogna valutare: se a poco a poco ogni cantina inizierà a fare il dealcolato, allora non vale la pena creare uno spazio apposito. Un po’ come è avvenuto per il biologico: diventerà un completamento di gamma da mettere accanto agli altri vini.
Ma cosa ne pensa del livello qualitativo dei no alcol?
Le aziende ci stanno lavorando, impegnandosi per produrre sempre più vini di qualità.
Lei li beve?
Non so se sarò mai un consumatore di dealcolati, ma ne ho provati tanti, alcuni buoni, altri meno.
Non solo di dealcolati si è parlato in questa edizione di Vinitaly. Anche il vino naturale si è preso la sua parte: sia con l’esordio e debutto in Italia dei Raw Wine sia con il ritorno di grandi nomi della tipologia, da Arianna Occhipinti a Nino Barraco. Segno che i due mondi non sono più in antitesi?
A Vinitaly c’è sempre stato spazio per tutti. Un format come Raw Wine può essere utile per far entrare delle collettive dentro la fiera. Poi, non sta a noi giudicare se i vini naturali siano validi o meno, così come per i dealcolati, i biodinamici e così via. Il nostro obiettivo è creare le condizioni per far incontrare i produttori (tutti i produttori!) con i buyer e creare business. E credo che quest’anno più che mai l’obiettivo sia stata centrato.
Cosa contraddistingue Vinitaly dalle altre fiere del vino?
La convivialità. La cosa bella è che il buyer che viene qui alla fine si trasforma a sua volta in un wine lover e questo permette di creare un clima di festa.
Il prossimo anno verrà a Vinitaly?
Sì, ma da visitatore. E sicuramente mi divertirò molto di più.
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