Ci ritroviamo davanti a un Blanc de Blancs del Sussex e una fetta di salame dell’Oltrepò Pavese. A tavola c’è l’intero team di Signorvino: Sandro Veronesi, Federico Veronesi e il general manager Luca Pizzighella. Hanno l’aria soddisfatta: «Abbiamo appena preso un gioiello e non vediamo l’ora di collegarlo con una nuova comunicazione e una proposta di packaging al passo dei tempi», debutta Federico. Non fa nomi, ma si lascia sfuggire Piemonte, produzione di Barolo e Barbaresco, ma non solo. Signorvino vuol dire 42 enoteche in Italia, fa parte del gruppo Oniverse (fatturato da 3,5 miliardi di euro) che a suo volta raccoglie sotto il suo ombrello i brand Calzedonia, Intimissimi, Tezenis e Oniwines. Quest’ultimo è guidato da Federico Veronesi, riunisce le cantine Tenimenti Leone, nei Castelli Romani, Podere Guardia Grande, in Sardegna, La Giuva, in Valpolicella, Villa Bucci, nelle Marche, e la nuova realtà piemonetse. «E a settembre presentiamo il progetto del Trentodoc a 1000 metri di quota», mette il carico Federico.
Federico Veronesi
Un rilancio continuo in un momento a dir poco complesso nel mondo enologico. Andiamo diretti: il vino è davvero in crisi? «Diciamola tutta, non solo il vino. C’è un eccesso di offerta in tutti i settori e in tutto il mondo. I consumi sono fermi, il reddito personale non è cresciuto e sono sempre meno le persone che possono permetterselo.
La soluzione? Soddisfare i desideri, le aspirazioni e non il bisogno. Bisogna creare aspirazionalità, metterci dentro qualcosa in più», commenta Sandro. «E in questo modo spostiamo il tema, da una parte c’è un settore fermo, al suo interno ci sono aziende che vanno molto bene. Bisogna intercettare le tendenze e crederci», rafforza il concetto. E mentre in Italia continuano a chiudere battenti molte enoteche di stampo classico, Signorvino prosegue con il suo piano di espansione. Cerchiamo di capire come sia possibile con Pizzighella. «Abbiamo anche due insegne all’estero, a Parigi e a Praga, ma vogliamo consolidare l’Italia. Aprire una sede per città. Il modello funziona perché semplifica e destruttura la comunicazione nel mondo del vino». Chiediamo spiegazioni: «Ci sono troppe sovrastrutture, bisogna partire dal principio che mediamente le persone non sanno nulla di vino. E quindi essere semplici, comprensibili, senza banalizzare. Abbiamo creato un contenuto conviviale, dove puoi trovare consulenza ma anche molto altro, dall’evento mondano alla musica, creando occasioni per riempire quel bicchiere di vino e avvicinare il consumo», aggiunge.
Si è studiato un approccio manageriale per levare quel filtro autoreferenziale tipico del settore. La formula Signorvino è sempre la stessa, rassicurante. Il format prevede una cucina che gira su un spartito senza voli pindarici. La cucina? Di base formaggi e salumi, 4 primi, 4 secondi. Concretezza, una manciata di ricette regionali e circa 2mila di etichette di vino di contorno. E a dispetto dei trend, qui i rossi contano per circa il 45%: «in questa fase stanno crescendo più i bianchi delle bollicine, mentre i dolci sono proprio fermi», analizza Pizzighella. Per capire cosa differenzia Signorvino dal mondo enoteche basta seguire i profili social, a partire da tik tok (oltre 100mila follower), a instagram dove il tono di voce è spesso ironico e molto diretto. Un modello scalabile che non ha eguali in Italia. E pochi in Europa.
Al secondo bicchiere chiediamo un parere sul dealcolato: «Siamo veneti!», esclama Federico. «Stiamo osservando il fenomeno ma con scetticisimo, per il momento non abbiamo proposte ma monitoriamo. Mi sembra un processo molto artificiale». E a lui, classe 1992, chiediamo quanto ci sia di vero dietro il mantra dei giovani che bevono meno. «È ormai chiaro che non esiste più l’abitudine quotidiana del calice di vino a pranzo e a cena. Il consumo si è spostato principalmente sul weekend ma attenzione: nel fine settimana, spesso, non ci si risparmia», fa notare. E se l’avvicinamento al vino avviene in età più avanzata rispetto a qualche anno fa, gli under 30 sono più attratti da bevande immediate, veloci da capire e da consumare. «Il vino oggi ha bisogno di un racconto diverso, di un linguaggio più diretto, emozionale, capace di coinvolgere. Dovremmo osservare come si muovono altri mondi, come quello delle birre o dei cocktail, che sanno comunicare meglio con le nuove generazioni. Comunque sì, si beve meno, ma si spende di più. Perché oggi si cerca la denominazione, la storia, il brand della cantina. Il valore percepito e quindi anche il valore economico del vino sta aumentando. Dipende tutto dal target di riferimento», conclude.
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