L’enologo degli enologi, Riccardo Cotarella, cambia idea sui vini dealcolati e, in un’intervista al Corriere della Sera, annuncia che anche lui inizierà a produrli. Una giravolta che arriva dopo quella di un altro grande nome della viticoltura italiana, Angelo Gaja («Ero partito contro, mi sembravano un errore. Adesso non sono contrario», ha dichiarato il produttore piemontese all’inaugurazione dell’anno dell’Accademia italiana della vite e del vino). D’altronde il presidente di Assoenologi aveva già dato segnali di apertura all’indomani del decreto sui vini no alcol approvato dal ministro Lollobrigida.
A ripercorrere la sua battaglia contro i vini no alcol è lo stesso Cotarella: «Come presidente mondiale degli enologi, ero addirittura il più aggressivo – spiega nell’intervista – Inizialmente abbiamo preso questa proposta di produzione un po’ male. Abbiamo ragionato con il cuore, perché non è più un vino. Abbiamo fatto una battaglia per non chiamarlo vino, non ci siamo riusciti. Poi abbiamo ragionato un po’ con lo stomaco per i produttori».
Parla di crisi del vino l’enologo più famoso d’Italia e del dealcolato come possibile risposta: «È un momento di crisi del nostro prodotto, di grande crisi. Mancano i consumi e ci sono tutti i problemi citati prima, per cui bisogna comunque provarci. Il compito di noi enologi è fare questi prodotti il meno cattivi possibile, purché ricordino e facciano desiderare il vero vino. Cioè quello con l’alcol naturale che l’uva porta in cantina».
Cotarella, che è anche presidente d’onore dell’Union Internationale des Oenologues, presenterà il suo primo vino dealcolato ad ottobre, ma non si sbottona su eventuali collaborazioni. «Dall’Italia, al Giappone, alla Spagna, alla Francia, all’Ungheria, all’America. In diverse parti dove lavoro. Comunque noi enologi dobbiamo ragionare come pratici, stacanovisti. Se c’è un prodotto da fare, al di là di quello che noi pensiamo, dobbiamo realizzarlo. Se il produttore lo vuole dobbiamo farlo, e farlo il meglio possibile».
Per cimentarsi con la nuova sfida, l’enologo degli enologi inizierà dalle uve aromatiche: «Sono le migliori: l’aroma nasconde i difetti dovuti all’acidità e alla struttura che non c’è. Quindi silvaner, in questo caso. Moscato, aleatico… tutto ciò che ha un patrimonio olfattivo. E lì è abbastanza facile. Per gli altri vini senza aroma ci stiamo lavorando, ma faremo qualcosa di non cattivo anche in quel caso».
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