Sake e Italia sono parole che rimandano a due mondi molto lontani tra loro, ma che stanno trovando punti di convergenza. Parliamo infatti una bevanda alcolica giapponese ottenuta da un processo di fermentazione che coinvolge il riso, l’acqua e particolari enzimi, le spore koji. Consumato da millenni, abbinato a rituali antichi, è diffusissimo in tutte le zone del Sol Levante dove ne esistono di diversi tipi. Un prodotto presente ormai da molti anni anche nel nostro paese, grazie soprattutto alla gastronomia orientale che ha reso popolare la bevanda facendo crescere il numero di appassionati. E con loro crescono le degustazioni, le verticali, le comparazioni e gli abbinamenti a tavola soprattutto con le etichette estere; ancora pochi i produttori italiani.
Tra questi ci sono Stefano Albertin e sua moglie Barbara che dopo anni di studio e prove hanno realizzato il primo sake italiano con riso Igp del delta del Po. Si chiama Pila e prende il nome dell’omonimo paese alle foci del Grande Fiume, dove un tempo si impilava proprio il riso che poi, via fiume o terra, veniva trasportato nelle barchesse delle ville venete per essere lavorato.
“È stato un lungo lavoro di ricerca appassionante sul territorio” racconta Stefano, birraio, che gestisce il Capolinea 309 a Porto Viro, nel cuore del Delta dove viene prodotto “iniziato in pieno lockdown. Siamo circondati da ettari risaie che realizzano un prodotto di qualità altissima. Noi siamo birrai, ma il riso è un cereale che non caratterizza la birra, usato in questo contesto non sarebbe stato valorizzato e così abbiamo pensato al sake, naturalmente diverso da quello giapponese”. Uguale per processo e tecnica di lavorazione – con l’utilizzo necessario del riso e della fermentazione koji – differisce per alcune importanti caratteristiche. “La bevanda viene realizzata partendo da un riso di qualità Carnaroli coltivato sul territorio” spiega Albertin “che viene sbiancato naturalmente e sfinato, e a cui si aggiunge del luppolo di origine americana ma coltivato sui colli veneti, il tutto fermentato per due mesi e infine leggermente spumantizzato”. Ne esce un prodotto dalle caratteristiche organolettiche davvero uniche che passano dal sentore floreale del luppolo al sapore del riso che chiude l’assaggio. La gradazione alcolica non supera i 10 gradi, la temperatura di servizio è sui 9 gradi ed è naturalmente privo di glutine.
“La nostra intenzione” precisa “non era quella di copiare qualcosa al Giappone, bensì di utilizzare le loro tecniche per produrre un sake su misura per i palati veneti e italiani”. E con orgoglio Stefano e Barbara hanno deciso di proporre Pila in abbinamento con alcuni prodotti locali: “Come ad esempio l’ostrica rosa della sacca di Scardovari, eccellenza della parte veneta del Delta: grazie al Ph acido, il nostro sake pulisce perfettamente il palato; sta bene con un fritto di pescato locale, come abbinamento con le sarde in savor, altra preparazione veneta, e con carni delicate”. La produzione è molto limitata, circa 250 litri, che però aumenteranno visto la crescita d’interesse per il prodotto.
“La sfida è proprio di proporre una bevanda che, nell’immaginario italiano, spesso viene associata a quella che si trova in qualsiasi locale di stampo orientale. In genere, in quel caso, si tratta di sake molto alcolici e serviti alla stessa temperatura della pietanza. Non nel nostro caso”.
Il Consorzio di tutela del riso del Delta del Po Igp di cui fanno parte alcuni dei più importanti produttori di riso a livello nazionale, ha creduto fortemente nel progetto e ha voluto il sake Pila assieme ai suoi prodotti di punta da presentare all’ultima edizione del Vinitaly. “Abbiamo riscontrato tanta curiosità, un vero successo” sorride Stefano “e molte persone ci hanno già contattato per avere più informazioni sul prodotto, la sua distribuzione e per venirlo ad assaggiare”.
Capolinea309 – Porto Viro (RO) – Via Mantovana, 10 – www.capolinea309.it
a cura di Tommaso Costa
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