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Il Cesanese sfida i grandi vini: ecco come è andata

Con la partecipazione a Vinitaly 2025, Regione Lazio e Arsial hanno valorizzato il patrimonio vitivinicolo regionale attraverso degustazioni di successo e un confronto tecnico che ha messo il Cesanese al centro della scena

  • 26 Aprile, 2025

In collaborazione con Arsial

Oltre 50 aziende, masterclass blind tasting al completo e una degustazione che ha messo il Cesanese fianco a fianco con un mito dell’enologia mondiale. La Regione Lazio, in collaborazione con Arsial, ha chiuso la 57ª edizione di Vinitaly con un bilancio positivo, confermando la maturità del comparto vitivinicolo e la qualità sempre più riconosciuta delle sue produzioni. Le masterclass in particolar modo hanno offerto un racconto autentico della ricchezza del territorio laziale, valorizzandone la diversità e le eccellenze

Il Cesanese si mette alla prova

Una degustazione comparativa tra le varie espressioni di Cesanese e un mito dell’enologia italiana come il Barbaresco 2021 di Gaja. Un evento, tutto esaurito, che, come tutti gli altri che sono stati organizzati grazie alla collaborazione tra Regione Lazio, Arsial e Fondazione Italiana Sommelier, si è prefisso l’obiettivo di dimostrare la varietà di stili che la regione ha da offrire e la qualità ben sopra le aspettative che può esprimere quando non ci sono condizionamenti a priori. “Per anni i vini del Lazio non hanno avuto la stessa considerazione di quelli di altre regioni – spiega Daniela Scrobogna, relatrice dell’incontro – l’obiettivo delle degustazioni alla cieca non è tanto individuare l’intruso quanto capire dove si posizionano questi vini e come si comportano davanti ai miti dell’enologia mondiale”.

Se la prima sfida tra i vini da vitigni internazionali della regione e il San Leonardo di Tenuta San Leonardo, produttore dell’anno per la Guida Vini d’Italia 2025, sembrava più facile per via della base ampelografica comune, quella tra il vitigno più in crescita del Lazio meridionale e una delle massime espressioni di Nebbiolo poteva apparire azzardata. Ma il Cesanese ha avuto un’evoluzione stilistica molto rapida negli ultimi anni: i produttori delle tre zone di riferimento – Piglio, Olevano e Affile – hanno profuso molto impegno nel migliorare le tecniche di cantina e ottenere un’espressione più raffinata dei due vitigni ammessi dalle denominazioni, Cesanese di Affile e Cesanese Comune. “C’è stato un grande alleggerimento – aggiunge Scrobogna – il Cesanese non è più il vino giocato tutto in potenza e pienezza di una volta”.

La differenza la si nota già dai colori degli otto calici, uniformi nella loro trasparenza. Impossibile trovare il Nebbiolo senza metterci il naso dentro. Difficile anche dopo averlo fatto, perché, a fronte di piccole variazioni, il fil rouge è la freschezza del frutto e una speziatura allettante, senza nulla che si discosti troppo da questo modello. “Il suolo nei territori del Cesanese, compresi tra i Ernici Lepini e i monti Simbruini, è vulcanico per il 66%” riferisce Scrobogna. E l’elemento distintivo di molti dei vini in batteria è proprio l’eloquenza aromatica tipica di tutti i vini prodotti da vigne su suoli vulcanici, abbinata ad acidità sostenute e tannini ben estratti che legittimano il paragone con i rossi giocati sull’energia e sulla profondità più che sulla potenza come Nebbiolo, Sangiovese o Nerello Mascalese.

La platea non è riuscita ad individuare con facilità quale fosse il Barbaresco di Gaja: in pochissimi hanno capito che si trovava nel quarto calice, forse il più delicato e meno espressivo in questa fase, a ricordare come i fine wines mondiali siano spesso giocati “in levare”: riservati sulle prime e pensati per dare il meglio a lungo raggio. Evidente anche la differenza tra lo stile più agile e nerboruto dei vini di Olevano Romano – Damiano Ciolli e Cantine Donna Chiara – e quello più esuberante e avvolgente del Cesanese del Piglio. E se l’unico pigliese affinato in solamente acciaio, ovvero il Baccanera di Medevì, fa dell’immediatezza il suo punto di forza, i tre affinati in legno – Camere Pinte de L’Avventura, Colle Forma di Terenzi e Bolla di Urbano di Pileum – hanno anche ottimi margini di miglioramento nel tempo.

La ricchezza del panorama laziale

La regione ha messo in scena un racconto corale del proprio patrimonio vitivinicolo, attraverso un fitto programma di degustazioni che ha valorizzato stili, territori e vitigni autoctoni. Il ciclo di masterclass “Il Lazio si confronta con i grandi vini italiani e internazionali”, curato da Fondazione Italiana Sommelier e Bibenda, ha registrato il tutto esaurito a ogni appuntamento, offrendo un confronto diretto tra le migliori etichette della regione e alcuni mostri sacri dell’enologia mondiale.

Tra i vini laziali che hanno conquistato l’attenzione di pubblico e addetti ai lavori ci sono il Frascati Superiore “Abelos” di De Sanctis, il “Ceres Anesidora I” di Omina Romana, “Evoluzione” di Casale Cinque Scudi, il “Silene” di Damiano Ciolli, il bianco “Lunapriga” di Colle di Maggio, lo Chardonnay “Incanto” di Cantina Belardi, il Circeo Bianco “Innato” di Villa Gianna, il Bellone di Martino V, “La Sciantosa” Malvasia Puntinata di Cantina Le Macchie e il Tuscia Doc “Forcone” di Fattoria Madonna delle Macchie.

Una selezione che ha messo in luce la personalità dei vitigni e l’innovazione delle interpretazioni, capaci di confrontarsi senza timori reverenziali con etichette iconiche come Terre Alte di Livio Felluga, San Leonardo, Barbaresco di Gaja, Corton Charlemagne Grand Cru, Cervaro della Sala, Fiorduva di Marisa Cuomo, Malvasia di Skerk e Montepulciano d’Abruzzo di Valentini.
“Il successo della nostra presenza a Vinitaly testimonia la crescita continua di un comparto strategico per l’agricoltura del Lazio – ha commentato Giancarlo Righini, Assessore al Bilancio, Agricoltura e Sovranità Alimentare –. Abbiamo sostenuto le imprese con una visione chiara: rafforzare la filiera, migliorare l’accesso ai mercati internazionali e promuovere una cultura del vino che sia anche cultura del paesaggio, del lavoro e della sostenibilità. Continueremo su questa strada, con nuovi strumenti e azioni concrete a supporto delle aziende.”

Un percorso che ha attraversato i calanchi della Tuscia, i suoli vulcanici dei Castelli Romani, le isole Pontine, dimostrando che la qualità non è solo un’eccezione, ma una costante distribuita in modo capillare su tutto il territorio. E che il Lazio, oggi, ha smesso di rincorrere le altre regioni: ha trovato la propria voce. E inizia a farsi ascoltare.

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La più autorevole guida del settore dell’enologia italiana giunge quest’anno alla sua 37sima edizione. Vini d’Italia è il risultato del lavoro di uno straordinario gruppo di degustatori, oltre sessanta, che hanno percorso il Paese in lungo e in largo per selezionare solo i migliori: oltre 25.000 vini recensiti prodotti da 2647 cantine. Indirizzi e contatti, ma anche dimensioni aziendali (ettari vitati e bottiglie prodotte), tipo di viticoltura (convenzionale, biologica, e biodinamica o naturale), informazioni per visitare e acquistare direttamente in azienda, sono solo alcune delle indicazioni che s’intrecciano con le storie dei territori, dei vini, degli stili e dei vignaioli. Ogni etichetta è corredata dall’indicazione del prezzo medio in enoteca, delle fasce di prezzo, e da un giudizio qualitativo che si basa sull’ormai famoso sistema iconografico del Gambero Rosso: da uno fino agli ambiti Tre Bicchieri, simbolo di eccellenza della produzione enologica. che quest’anno sono 498.

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