
«Come Gruppo Lunelli, il nostro brand più esposto alla spada di Damocle dei dazi imposti da Trump è certamente Bisol1542, tramite il quale esportiamo ben due milioni di bottiglie di Prosecco negli Stati Uniti d’America. L’impatto sul brand Ferrari è più ridotto perché in tal caso parliamo di 250mila referenze. La verità è che siamo molto preoccupati e ci aspettiamo un innalzamento dei prezzi sul mercato. In questi anni stavamo crescendo molto bene e abbiamo investito molto per presidiare il mercato a stelle e strisce».
A parlare è Matteo Lunelli, presidente di Bisol1542 e Ceo del Gruppo Lunelli che annovera tra gli il celebre brand spumantistico Ferrari. Lunelli, che è anche presidente di Altagamma, la fondazione che riunisce i maggiori brand del Made in Italy, spara a zero sui dazi trumpiani proprio nel corso di OperaWine, l’evento esclusivo che introduce il Vinitaly, promosso dalla rivista americana Wine Spectator. La classifica redatta dagli esperti della testata non soltanto racconta la grande diversità del vino italiano ma è un’opportunità per promuovere le aziende vitivinicole su quel mercato americano che adesso alza le barriere all’ingresso. Con grande sorpresa per gli imprenditori italiani per i quali gli Usa rappresentano il primo mercato estero di riferimento.
Come ha preso la notizia dell’applicazione dei dazi?
Personalmente sono rimasto molto stupito alla notizia. È una manovra che porta danno a tutti, soprattutto al consumatore americano. Ma i problemi riguarderanno tutta la filiera della commercializzazione in America: si parte dall’importatore, per passare al distributore, infine al ristoratore. Con questa iniziativa saranno penalizzati tutti i nostri partner in America.
Stavolta non si tratta di dazi su settori specifici ma sulle economie complessive di ciascun paese…
Questa volta parliamo di dazi generalizzati, ma così si sottovalutano le economie interconnesse. Anche in questo senso immagino un impatto molto forte sugli stessi Stati Uniti d’America. Spero che alla fine il buon senso prevalga.
Come pensate di reagire a queste tariffe?
All’inizio la minaccia era più alta perché si parlava addirittura del 200%. Ma questo respiro di sollievo non diminuisce la gravità della situazione. In ogni caso noi non abbasseremo i nostri prezzi di vendita. Sappiamo che i distributori americani non sono disposti a compartire l’impatto delle tariffe e pertanto lo ribalteranno sul consumatore. E anche l’importatore avrà le sue difficoltà.
Chi riuscirà a parare il colpo?
Credo che i marchi forti riusciranno a superare l’ostacolo. Ma ci sarà un duro colpo sui consumi del vino. Senza dimenticare l’impatto complessivo sull’economia globale.
Che cosa dovrebbero fare il governo italiano e la Commissione Europea?
Quando ho saputo la notizia ero molto arrabbiato. Questi dazi non sono affatto giustificati e sono un’evidente espressione di una politica miope. Tuttavia, creare una guerra commerciale non ha senso. Non si può buttare a mare una relazione che esiste da decenni per un singolo seppur grave episodio. Adesso serve che la diplomazia si metta al lavoro. Ovviamente in questi casi non bisogna soltanto porgere l’altra guancia perché siamo di fronte a una vera e propria aggressione. Eppure serve diplomazia.
Lei è anche il presidente di Altagamma, la fondazione che riunisce le imprese dell’alta industria culturale e creativa italiana, riconosciute come ambasciatrici dello stile italiano nel mondo. L’impatto dei dazi si abbatte anche su altri campioni del Made in Italy…
Certo, le imprese di Altagamma operano in molteplici settori: moda, design, gioielleria, agroalimentare, ospitalità. Parliamo di un giro di affari pari a 13-15 miliardi di export. Tra i settori più colpiti ci saranno certamente la moda, l’agroalimentare e l’automotive. Ecco perché serve grande attenzione.
Peraltro la lista dei dazi mostrata da Donald Trump è palesemente assurda. Così come pare complicato l’obiettivo del reshoring, ovvero di riportare alcune fabbriche del manifatturiero in America…
I calcoli fatti dalla Casa Bianca hanno poco senso economico. Ma Trump è un abile negoziatore e vuole sedersi al tavolo, altrimenti sarebbe un disastro per tutti. Riportare le aziende sul territorio americano è un processo che richiede tempi lunghissimi. E poi c’è il problema della manodopera che non è sufficiente, unito al costo della manodopera che non è efficiente rispetto a quello di altri paesi. Anche le imprese americane come la Nike non potranno comunque trasferire negli Usa tutte le loro attività come Trump sembra augurarsi. L’economia americana è molto più fondata sui servizi (che Trump non ha calcolato ma che hanno un peso enorme sulla bilancia commerciale) e beneficia attraverso questi dell’economia globale.
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