Etichette allarmistiche, dazi, calo dei consumi: il vino è sotto tiro. Prendiamo un caffè con il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida nel suo ufficio per un confronto a tutto tondo. Non nasconde la sua preoccupazione sul momento delicato: «È un miracolo che il vino italiano regga dal punto di vista degli asset strategici ed economici grazie ai nostri imprenditori e alla loro capacità di mantenere un livello qualitativo molto alto: una garanzia rispetto ad aggressioni di chi gioca solo la partita del prezzo». Storicamente, ricorda, ci sono stati attacchi di comunicazione su singoli prodotti, dal caffè all’olio di palma che pochi anni fa era diventato il male assoluto del mondo costringendo grandi aziende dolciarie a un rapido passo indietro.
Sul clima avverso al vino ha influito senza dubbio anche il nuovo Codice della strada, entrato in vigore lo scorso 14 dicembre che, pur non rivedendo i limiti dei parametri alcolici consentiti, ha indotto una paura senza precedenti, tanto da scatenare un’autentica psicosi dell’etilometro e una drastica riduzione di ordini nei ristoranti. Sul Codice la politica ha sbagliato comunicazione? «L’errore è stato approvare il nuovo Codice nel periodo precedente a Natale, momento di massimo consumo, ma erano i tempi legislativi. Social e comunicazione hanno creato un allarmismo che ha spaventato e questo ha portato a una riduzione oggettiva dei consumi. La gente era terrorizzata dal contenuto della norma, senza conoscerla, perché non ci sono stati cambi sui parametri alcolici, sono state modificate solo le sanzioni che sono un elemento di deterrenza. Possiamo discutere se lo 0,5 sia una soglia giusta, ma dobbiamo toglierci dalla testa che si possa bere e guidare mettendo a rischio la vita delle persone. In ogni caso, vedo un riposizionamento dopo la grande paura iniziale».
Torniamo sulla distinzione tra consumo e abuso, che Lollobrigida ha stigmatizzato con un paragone poco calzante che ha fatto discutere: anche l’acqua fa male se consumata in eccesso. «Paradossi estremi che vengono male interpretati. Fanno male le ricerche che orientano il consumatore in maniera strumentale. Il compito è informare meglio, a partire delle etichette, oggi i qr-code ci dicono tutto, è utile dichiarare sia i rischi che i benefici connessi a un prodotto. Più informazione corretta e non condizionante come il nutriscore. Per questo stiamo lavorando per un’etichetta informativa che faccia bene alla salute delle persone che consumano il vino, ma anche alla salute delle imprese. Casualmente, alcuni attacchi sembrano orientati verso modelli di produzione che non hanno capacità di difesa. E lo dico anche in riferimento al vino per quanto è frammentato». In questo senso vanno i due incontri programmati al Vinitaly 2025 di Verona: il primo con Olivér Várhelyi, Commissario europeo per la Salute. «Per parlare di vino nella sua complessità: aspetti negativi dell’abuso, aspetti positivi di un uso corretto. Semplicemente informare correttamente senza sciovinismi e discorsi di parte». E poi con quello con il Commissario per l’Agricoltura Christophe Hansen, per presentare un piano annuale europeo. L’altro focus a Verona sarà sul tema dell’export ripercorrendo la storia dei mercati del vino, un argomento che ben si sposa con lo spirito del tempo: «Perché non basta essere all’avanguardia nelle produzioni: la capacità d’inserirsi nelle logiche di mercato è fondamentale e permette di anticipare le criticità».
E i dazi americani? «Trump non agisce con la logica politica tradizionale, agisce da imprenditore: fa trattative difficili da analizzare con lo sguardo cui siamo abituati. I dazi portano spesso a situazioni poco prevedibili, credo che sui nostri vini di pregio possano piuttosto portare inflazione negli Stati Uniti: l’americano medio che vuole Barolo continuerà a comprarlo. Ci sarà da vedere come verrà ripartito quel ricarico tra importatori, distributori, produttori e consumatori. Stiamo facendo studi comparativi, a oggi l’unico effetto è stata la corsa agli stock degli ultimi due mesi negli Usa per paura degli aumenti», sorride. Mentre parliamo si alza e prende una bottiglia di extravergine toscano Dop Gallo Nero. In Italia, dati alla mano, abbiamo un milione e mezzo di ettari di oliveto. Bene, quasi la metà sono abbandonati, con grave danno non solo per la scarsità di materia prima da avviare al frantoio, ma anche per la bellezza paesaggistica. «Quando dico che l’olio extravergine di oliva deve costare 30 euro al litro non sto dicendo che voglio togliere l’olio alla famiglia, ma che – come nel vino – bisogna sapere che una bottiglia da 30 vale di più di una da tre. Se vuoi essere sicuro di comprare un olio extravergine, da monocultivar, lo devi pagare. A 5 euro l’extravergine italiano non esiste, stai acquistando un’altra cosa, che non ti ammazza, non ti fa male. Ma devi essere informato», chiosa.
Parla con tono autentico, da semplice appassionato: «E non ho mai capito perché la data di scadenza dell’olio parte da quando viene imbottigliato e non dalla data di produzione». Per favorire il consumo delle diverse cultivar, in Italia ne abbiamo 540, consiglia ai ristoratori di dotarsi di bottiglie da 100ml: «Pratiche per provare diversi oli e preziosi come souvenir da portare a casa». E poi l’altro suo mantra: i formaggi. «Potremmo alimentare la filiera del formaggio in maniera esponenziale perché abbiamo quantitativi di latte importante. Il Parmigiano lo vendi a valore, il latte così lo paghi 1 euro e questo ha portato a ripopolare le aree montane e di collina, così motivi i ragazzi che tornano a fare gli allevatori. La vera sfida si gioca sul settore horeca, perché i prodotti particolari li assaggi al ristorante». Lo incalziamo sui temi più attuali nel vino, a partire dalle spinte d’innovazione scientifica che puntano a cambiare i disciplinari.
Piena e convinta l’apertura sui vitigni resistenti, i Piwi, allo studio c’è una modifica del Testo Unico per l’inserimento nelle Doc. «Siamo dalla parte della scienza per arrivare a produrre qualità impattando sempre meno sull’ambiente: siamo favorevolissimi. Sostenibilità ambientale ed economica devono andare di pari passo per creare valore», evidenzia. E nessun dubbio anche sulle Tea, le tecniche di evoluzione assistita. «Si sbloccherà il tutto a breve, il compromesso europeo è vicino. L’Italia è stata all’avanguardia, le coltivazioni Tea distrutte in Veneto da eco-vandali non ci fa fare passi indietro sulla sperimentazione di tecnologie evolutive avanzate che a differenza degli ogm permettono di arrivare allo stesso risultato di piante più resistenti o più produttive con una linea vicina a quello che la natura farebbe in maniera autonoma, con grandissima probabilità, in un centinaio di anni. Di fatto, è un’accelerazione, mentre gli ogm sono incroci che creano qualcosa che in natura non esiste. La resistenza ancora in gioco è sulla questione dei brevetti, dovremmo arrivare a una proprietà europea», aggiunge.
Sui dealcolati Lollobrigida ha cambiato idea, dopo un esordio molto scettico sul settore. «A livello di gusto sono ancora molto diversi, d’altronde l’alcol – come insegna il professor Moio – è uno stabilizzatore. Se lo levi, dopo 6 mesi inizia la decadenza e devi aggiungere conservanti. Però non si può negare che una fetta di mercato esiste, soprattutto all’estero. In Italia oggi solo lo 0,6-0,7% di chi beve vino è disposto a bere dealcoalto, ma quando la qualità migliorerà si affermeranno anche da noi, che siamo più conservatori. A livello mondiale uno spazio c’è. Con la regolamentazione italiana abbiamo evitato di mettere sullo stesso piano i vini senz’alcol con il prodotto classico e le sue indicazioni geografiche». E magari possono tornare utili in una narrazione culturale e geografica del vino già nelle scuole: educazione del gusto. «Le scuole sono centrali per far conoscere meglio che cosa c’è dietro un prodotto ed evitare di considerare il vino al pari di un distillato da 60 gradi o della droga. Deve passare il messaggio che è un alimento presente da 5mila anni nell’area del mediterraneo. Poi saranno loro a scegliere cosa bere».
La priorità, dice Lollobrigida, è lavorare su promozione e percezione. «Il vino caratterizza una sana dieta fatta di aspetti sia fisici che mentali, la convivialità è una delle facce del benessere. Il vero rischio non è il sistema tariffario ma la criminalizzazione del prodotto, nessuna tariffa nel mondo fa più danni. Non dobbiamo incentivare a bere di più, ma a bere meno, bere meglio, bere qualità. E pagarla il giusto».
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