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Tradizionali, autoctoni, a buon prezzo. Ecco perché California, New York e Florida preferiscono i vini italiani

Made in Italy per 7 consumatori su 10. Ma c'è il rovescio della medaglia: l'eccesso di concentrazione dei mercati e delle regioni esportatrici. Il report Wine Monitor-Unicredit

  • 09 Aprile, 2025

La grande, eccessiva, esposizione dei vini italiani a eventuali danni derivanti dai dazi che gli Stati Uniti hanno imposto sui vini europei (e non solo) è ancora più tangibile se si osservano i dati, resi noti al Vinitaly martedì 8 aprile, dal III Rapporto Wine Monitor-Unicredit sulla competitività delle Regioni del vino. I tre Stati di maggior consumo negli Stati Uniti, vale a dire New York, California e Florida mostrano una predilezione per i vini made in Italy. Guardando il bicchiere mezzo pieno, l’Italia mantiene le sue posizioni tra i leader nel primo mercato globale del vino, anche grazie a una progressione decennale dell’export migliore dei competitor; ma guardando il bicchiere mezzo vuoto, è anche la prima a rischiare un contraccolpo economico nel breve termine.

Sette su dieci scelgono Made in Italy

Nel dettaglio, Wine Monitor e Unicredit hanno sondato il parere di circa 2mila consumatori dei tre Stati americani che, per il 65 per cento, hanno dichiarato di aver consumato vino nell’ultimo anno. Di questi, ben 7 su 10 del campione indagato hanno orientato la propria scelta su un vino italiano. Con quali motivazioni? Principalmente, sono riconducibili alla tradizione, alla varietà dei vitigni autoctoni e alla qualità riconosciuta, sia a livello internazionale sia perché sono venduti al «giusto prezzo».

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Il cambiamento delle preferenze

Nello studio, presentato nello stand di Confagricoltura a Veronafiere, emerge anche un trend di deciso cambiamento nelle preferenze gustative negli Usa. Oggi, il consumatore statunitense fa «più attenzione ai vini di qualità (33% si è espresso in tal senso)», ricerca vini di differenti regioni e territori (28%) e presta più attenzione alla salute. Vale a dire, acquista «vini rossi più leggeri e a minor contenuto alcolico». Mentre i giovani apprezzano particolarmente gli aspetti green del vino.

Punti deboli: eccesso di concentrazione

Negli ultimi dieci anni, l’Italia (che ha toccato il suo massimo valore nel 2024, trainata dagli spumanti) è il Paese con la maggiore crescita di vino tra tutti i competitor: un +60% contro +51% della Francia e +33 della Nuova Zelanda. I mercati con il maggiore sviluppo sono stati Corea del Sud, Polonia, Vietnam e Romania (con tassi composti annui tra +10% e +20%). Il vino made in Italy, però, appare troppo concentrato. Il 60% dell’export vinicolo italiano, evidenzia lo studio di Wine Monitor-Unicredit, si concentra in appena 5 Paesi, con gli Stati Uniti in testa (24 per cento). La Francia ha un indice di concentrazione (sempre rispetto ai primi cinque mercati di sbocco) del 51 per cento, con gli Usa che pesano per il 20%; la Spagna è al 48%, con un’incidenza del mercato Usa dell’11 per cento.

Le regioni e le Dop

Anche l’export regionale registra alti livelli di concentrazione. Il solo Veneto pesa per il 37% sull’export di vino nazionale, seguito da Toscana e Piemonte, entrambi con il 15%. Se si considerano anche Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna si arriva a un’incidenza dell’80 per cento. Spostandosi sui vini a denominazione, e considerando il peso sull’export delle Dop degli Stati Uniti, dove sono appena entrati in vigore i dazi, i bianchi del Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia hanno il principale paese di sbocco (48%), seguiti dai rossi Dop della Toscana (40%) e dai rossi del Piemonte (31 per cento).

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