Una sfida portata avanti tra lo scetticismo dei locali e le immancabili difficoltà di un paese che vive di paradossi: fare vino naturale in Albania e farlo puntando sulla qualità e sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni. Si chiama SEB Balaj Winery ed è una piccola realtà artigianale fondata nel 2018 da Artan Balaj e due coniugi italiani, Vincenzo Vitale e Daniela Fabrizi, la prima in Albania a dedicarsi interamente alla produzione di vini naturali.
Un progetto che a modo suo sta rivoluzionando il panorama vitivinicolo albanese, partendo dal cuore della regione di Valona, dove il paesaggio si fonde con la storia di quella che un tempo era conosciuta come Illiria e il mare Adriatico fa da cornice.
«Vogliamo creare vini gastronomici, freschi e versatili, capaci di accompagnare diverse cucine, senza perdere il legame con il territorio», spiega al Gambero Rosso Vincenzo Vitale, sommelier palermitano, 53 anni di cui una ventina circa spesi in viaggi tra Roma e l’Albania. Una terra conosciuta per esperienze professionali precedenti e che gli ha ispirato “una follia”, come la definisce lui: quella di dimostrare che dall’altra parte dell’Adriatico si possono fare vini di qualità partendo dal punto fermo della sostenibilità agronomica.
«Ci siamo innamorati di questi luoghi, ma forse – sottolinea Vincenzo - più che altro della sfida di riuscire a realizzare ottimi vini naturali in un paese in cui non è per nulla facile farlo un po’ per via di un approccio culturale al vino molto diverso da quello che c’è in Italia e poi perché nel quotidiano e nella programmazione ci sono mille problemi, a cominciare dalla carenza di manodopera qualificata, passando per la difficoltà di trattenere i giovani che una volta formati preferiscono andare a cercare fortuna in altri paesi per arrivare alla parcellizzazione dei terreni fino ai costi di produzione più elevati per via del fatto che l’Albania non è un membro dell’Unione europea. Nonostante questo vogliamo dimostrare che la sfida è possibile vincerla perché questo paese ha un potenziale ampelografico enorme e ha una grande tradizione vecchia di secoli».
Nuova primavera enologica
La storia del vino in Albania è un intreccio di antiche tradizioni, dominazioni straniere e rinascite moderne. Terra ricca di contrasti, ha visto svilupparsi una viticoltura che affonda le sue radici nell’età del bronzo, circa 3.000 anni fa. Già nell’epoca degli Illiri, il vino era una parte fondamentale della vita culturale e commerciale. Con l’espansione dell’Impero Romano, la viticoltura albanese conobbe un ulteriore sviluppo, integrandosi nel più vasto sistema vinicolo mediterraneo, anche grazie alla via Egnatia che collegava Costantinopoli all’antica città greco-illirica di Apollonia (l’odierna Pojan, una quindicina di km a nord di Valona). Tuttavia, i lunghi secoli di dominazione ottomana, iniziata nel XIV secolo, rappresentarono un periodo buio per il settore. Il consumo di alcol era vietato e la coltivazione della vite venne drasticamente ridimensionata. Solo con l’indipendenza del 1912 si assistette a una lenta ripresa, culminata negli anni 60 con 15.000 ettari vitati durante il regime comunista di Enver Hoxha. Ma la caduta del regime nel 1991 portò al caos: i vigneti furono abbandonati e la produzione crollò a livelli minimi. Oggi, grazie a piccoli produttori e a un rinnovato interesse per i vitigni autoctoni, il settore sta vivendo una nuova primavera.
L’Albania offre una straordinaria varietà di terroir, influenzati da altitudini, climi e suoli diversi. Le zone costiere, come quelle di Valona, beneficiano di un clima mediterraneo temperato, con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte che favoriscono la maturazione lenta delle uve. I terreni, prevalentemente sabbiosi e ciottolosi, conferiscono ai vini una mineralità distintiva. Questo equilibrio tra clima e suolo rende possibile la produzione di vini freschi, eleganti e dal carattere unico. Tra le varietà autoctone spiccano lo shesh i bardhe e lo shesh i zi, rispettivamente versioni bianca e rossa dello stesso vitigno, che coprono circa il 35% dei vigneti nazionali. Il nome “shesh”, che significa “raso al suolo” in albanese, richiama la distruzione delle chiese cattoliche durante l’occupazione ottomana. Altri vitigni significativi includono il vlosh, tipico della regione di Valona, e il kallmet, apprezzato per la sua eleganza e versatilità.
La sfida di SEB
È in questo contesto di rinascita della viticoltura di qualità in Albania che si innesca la miccia del progetto SEB. Un progetto nel quale Vincenzo porta con sé l’esperienza accumulata tra le vigne della sua terra d’origine ed è affiancato da sua moglie Daniela Fabrizi, romana e sommelier anche lei, che invece arriva da una carriera in una multinazionale nel settore biomedicale ma trova nel vino e in questa avventura l’opportunità di una nuova vita. Il suo obiettivo, ci rivela, è produrre vini che rispettino l’ambiente, pensando al futuro delle generazioni successive: «Il mondo in cui viviamo è un’eredità per i nostri figli, e SEB Winery rappresenta il nostro impegno per preservarlo».
Il perno attorno a cui ruota questa avventura è ovviamente Artan Balaj, nato e cresciuto a Valona, ma con un percorso professionale che lo ha portato lontano dalla sua terra d'origine. Lavorando in cantine friulane e e toscane ha affinato le proprie competenze e l’arte della vinificazione degli orange wine. Quello italiano è stato un periodo formativo in cui ha consolidato la sua idea: riportare in Albania un modello di viticoltura sostenibile, rispettoso della natura e delle tradizioni locali. Rientrato nel 2007 in Albania per iniziare un percorso personale, dopo aver lavorato con barbatelle e vigneti per le cantine locali, si lancia nell’ambiziosa sfida di valorizzare i vitigni autoctoni albanesi e dimostrare il potenziale enologico di un territorio per troppo tempo trascurato. In un ex tunnel ferroviario costruito dagli italiani nel 1928, adattato a cantina, inizia a produrre vini naturali capaci di raccontare l’essenza del terroir di Valona. L’incontro con Vincenzo e Daniela è storia più recente, ma dirimente nella costruzione di qualcosa di più di un progetto vinicolo: una sorta di manifesto per la valorizzazione del territorio e della cultura albanese.
La cantina si trova in una posizione privilegiata, tra le colline di Valona e la baia che si affaccia sull’Adriatico. I vigneti si estendono su sette ettari di terreno, distribuiti tra gli 80 e i 250 metri sul livello del mare. Questo territorio, delimitato dal fiume Voiussa e dalle saline di Valona, beneficia di un clima temperato con grandi escursioni termiche tra giorno e notte, che favoriscono una maturazione equilibrata delle uve. I terreni, di matrice sabbiosa e ciottolosa, contribuiscono a dare ai vini una spiccata mineralità. Nonostante le sfide climatiche, come la scarsità di piogge, SEB Balaj Winery ha scelto di seguire una viticoltura sostenibile e non irrigata, riducendo al minimo i trattamenti e rispettando i cicli naturali della vite. Questa filosofia si riflette in ogni fase del processo produttivo, dalla vendemmia manuale alla fermentazione spontanea con lieviti indigeni, senza controllo della temperatura. I vini affinano in acciaio, cemento, anfore di cocciopesto o botti di castagno. La cantina-tunnel, scavata nella roccia, mantiene una temperatura costante di 12°C tutto l’anno, un vantaggio significativo per la conservazione e l’affinamento dei vini.
La scelta degli autoctoni
La scelta di puntare sulle varietà autoctone è una dichiarazione d’intenti: celebrare l’identità enologica dell’Albania in un mondo globalizzato. Tra le uve più rappresentative utilizzate per produrre i vini troviamo lo shesh i bardhe, vitigno bianco versatile, noto per la sua acidità vibrante e il potenziale di invecchiamento, utilizzato per produrre vini freschi e complessi; lo shesh i zi, apprezzato per la sua intensità aromatica e struttura tannica; il vlosh, caratterizzato da note speziate e una grande profondità, e il kallmet, coltivato principalmente nel nord del paese, ma integrato nei blend di SEB per aggiungere eleganza e freschezza.
Da queste varietà (alle quali si aggiungono altre due autoctone meno diffuse come il pules e il debinë i bardhe), combinando tecniche tradizionali con un approccio innovativo, in cantina ricavano quattro etichette: l’Orange, shesh i bardhe macerato per 35 giorni sulle bucce, affinato in anfore di cocciopesto per 16 mesi, un vino complesso, che unisce struttura e freschezza; il Plaku (vecchio in albanese, ndr), blend di shesh i zi e vlosh dal profilo aromatico ricco e una grande versatilità gastronomica. Ispirato alle antiche tecniche di vinificazione della zona che prevedevano il blend tra i due vitigni, matura in botti di castagno per 16 mesi; il Sason un rosso fresco e tannico che unisce kallmet, shesh i zi e vlosh, le tre varietà autoctone più rappresentative del paese, in un’etichetta il cui nome è ispirato all’isola di Saseno (Sazan in albanese ma anticamente chiamata dai romani e dai greci con il nome di Sason) visibile dai vigneti orientati verso il mare da cui questo vino è realizzato; il Lagune, un bianco salino e vibrante prodotto una macerazione di 20 giorni delle uve shesh i bardhe, pules e debinë i bardhe, allevate in vigneti vicini alla Laguna di Narta e alle saline di Valona.