"Vino, carne, sesso: l’ipocrisia del neo-salutismo restringe le libertà". L'allarme dell'antropologo Massimo Canevacci

24 Mar 2025, 14:55 | a cura di
Allarme dell’antropologo Massimo Canevacci: “Restrizioni e stigmatizzazioni su vino e cibo fanno pensare a una visione autoritaria”

L’impressione è che si stanno restringendo e di molto gli spazi di libertà individuale sui modi di mangiare e di stare a tavola, di bere, di comportarsi. In particolare, dopo l’emergenza Covid c’è stata una sorta di strisciante (ma neppure troppo) strategia di normazione di scelte e abitudini in nome di uno particolarmente chiaro “bene collettivo” e a scapito della libertà dell’individuo. Le polemiche – anzi, le crociate, almeno da alcune parti – sui pericoli del bere vino (e alcol), le restrizioni (e soprattutto gli allarmismi e lo stigma sociale rispetto al vino) legate alle nuove norme (più spot, in fondo, che novità concrete) del codice della strada e dei limiti degli alcol-test. In ultimo, poi, un decreto – addirittura un decreto! – del ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, per normare il comportamento dei clienti in bar, ristoranti e locali pubblici e disegnare una sorta di “avventore modello”.

Intervista all'antropologo: volontà di omologare

Secondo il decreto, i locali dovranno indicare un “responsabile della sicurezza” punto di contatto con la polizia, installare a loro spese sistemi di videosorveglianza, garantire un’adeguata illuminazione dell’area e definire le regole di comportamento da osservarsi nel locale e nelle immediate vicinanze mediante l’adozione del “Codice di condotta” dell’avventore da affiggere nel locale che dovrà contenere una serie di misure tese a qualificare “l’avventore modello”. Insomma, l’allarme che molti esprimevano durante le restrizioni legate al Covid e che a molti altri sembravano esagerazioni, sembra che in qualche modo cominci a prendere corpo… È davvero così? Ne parliamo con uno studioso dei comportamenti umani, l’antropologo Massimo Canevacci che ha appena dato alle stampe la sua ultima riflessione: Cittadinanza Transitiva.

Professore, cosa sta succedendo? Ha senso questa estrema attenzione alla salute degli individui che da più parti genera allarme?

La mia riflessione parte dall’osservazione che vede il concetto di cittadinanza ormai al centro di questioni essenziali sulla “uniformità del cittadino”. Il salutismo sembra voler omologare, standardizzare il comportamento degli individui anche dal punto di vista della salute partendo da un’idea di cittadinanza che vuole uniformare i comportamenti delle persone in base a standard definiti dall’alto: identità sessuale, visione del mondo, tecnologia e, sempre di più, alimentazione e salute.

Attenzione alla salute e salutismo non sono la stessa cosa?

Il salutismo è una sorta di degenerazione dell’attenzione alla salute: un conto è la cura, l’attenzione al benessere psicofisico dei cittadini, altro è voler uniformare gli standard delle abitudini. Ognuno può decidere di avere uno o più modelli. Il salutismo punta invece a normare tutto: il salutismo vuole pre-formare un modello standard in base al quale tutti i cittadini dovrebbero uniformarsi. Così “l’uniforme salutista” diventa una cosa assolutamente autoritaria che porta alla degenerazione della cura della salute.

In che senso degenerazione?

Un conto è lo star bene, altro è privarsi dei piaceri della vita – alimentari, sessuali, erotici, artistici – in base a standard salutistici preformati.

Questo anche dal punto di vista dell’alimentazione?

L’alimentazione sta diventando una sorta di parola chiave che oscilla da una corretta visione della salute dei cittadini a una visione salutista per cui alimentazione non è il piacere del degustare, mangiare, stare insieme, ma avere uno standard rispetto al peso corporeo, alle proteine, ai grassi e ai carboidrati.
Questa visione salutistica sta alimentando una visione dell’alimentazione “autoritaria”, stabilita dall’alto.

Possiamo parlare di “neo-salutismo”?

Il salutismo ha avuto in Europa una tradizione molto funesta, per esempio durante il nazismo, quando negli stati totalitari degli anni 30 si prefigurava una visione uniforme della alimentazione e della “salute” anche in termini di eugenetica. Attualmente c’è una ripresa in molti stati occidentali, dall’Europa agli Usa, nell’affermazione di una visione “uniforme” che punta a mettere insieme salute, alimentazione e corpo fissando modelli e parametri, determinando cosa sia giusto o meno, addirittura negando anche la possibilità della scelta di genere. È una tendenza autoritaria che si sta affermando in molti stati: Stati Uniti, Cina, Ungheria, Russia… e anche Italia. Non parlo di un salutismo eugenetico, come per il passato, ma di un salutismo che punta ad affermare “uniformità”, regole uniche, regole alimentari prefissate che dovrebbero dare il senso dello stare al mondo in uno Stato…

In questo c’entra anche la campagna contro il vino?

Beh, sta diventando una vera ossessione: il chiedere etichette di alert come per il tabacco, va in questo senso. Mangiare molti carboidrati significa deturpare non solo il corpo, ma anche la mente, l’anima. Idem per la carne che sta diventando quasi una vergogna: ci si sente colpevoli di aver ucciso esseri viventi e di contribuire a sporcare l’ambiente. Oltre che di assumere sostanze nocive per il nostro corpo di cittadini.

Viene messo al bando il piacere?

Certo, anche il piacere legato al mangiare comincia a essere messo sotto accusa. Si stanno redigendo vere e proprie “liste di proscrizione alimentare” che puntano a eliminare alcuni cibi o prodotti e a far vergognare chi li consuma. Tutto ciò rientra in un modello di un “uniformità autoritaria”.

Qual è, a questo proposito, il confine tra i compiti di uno Stato e l’autoritarismo?

Lo stato deve preoccuparsi della salute, ma non può codificare i modelli alimentari o relazionali delle persone, dei cittadini.

Non solo alimentazione, dunque?

Questo discorso vale anche per l’arte, per il cinema: vince l’omologazione, pensiamo alle produzioni soprattutto delle compagnie tipo Netflix o Amazon. Ecco, un regista come David Lynch oggi non avrebbe spazi. Pensate a due delle sequenze centrali di Mulholland Drive: il regista prova due cantanti, la prima è eccezionale, ma la produzione vuole la seconda e alla fine il regista accetta. La subordinazione del regista alla produzione è una delle tante letture del film in cui emerge la critica al modello – sempre più regolare – del cinema Usa e non solo. A me piace il termine “uniforme” che porta a uniformità. Lo vediamo anche nello sport: le tifoserie sono sempre più uniformi, Roma e Lazio sono ambedue proiettate in chiave razzista. In musica: difficile trovare oggi esperienze fortemente innovative come poteva essere negli anni 60-70 o negli anni 90 in cui l’elettronica creava nuovi paesaggi sonori…

Parlava anche di scelte di genere… Cosa c’entra con cibo e salute?

Alimentazione, sessualità e salutismo: si cerca di affermare un modello sessuale affine a quello alimentare, basato su maschio e femmina, come ha detto lo stesso Trump appena insediato. Vi è una equazione tra questo dualismo sessuale e il salutismo alimentare dove un governo predetermina ciò che è salutare per i corpi, corpi che sono maschi o femmine. Una determinazione di genere alternativa è patologia: come mangiare tre piatti di spaghetti o scolarsi una bottiglia di Amarone, una patologia. Il modello dell’alimentazione, il modello sessuale, quello culturale, corporale e politico sono fissati in una determinazione verticistica. Ma lo Stato non può entrare nella determinazione dei miei modelli e uniformarli.

Rispetto a ciò, lei vede una accettazione passiva o ritiene ci possa essere contestazione?

Il salutismo sessuale è affine a quello alimentare: credo che creerà contrasti e violenze. Violenze subite, ma anche violenze reattive.

Lo Stato, però, dovrà pur poter porre dei limiti, no?

Io ritengo che sia la singola persona a dover decidere quando bere e cosa bere: non è la pena che blocca il pericolo, ma sono l’autonomia e la coscienza delle singole persone che dovrebbero salvare la salute e anche la sicurezza collettiva. La mia visione si basa sull’autonomia del soggetto: persona cosciente che sa decidere. Ben altra cosa è una legge che blocca e che ha già deciso uniformando cosa debba significare bere o mangiare per ogni singola persona. Non è la mia decisione, è la legge che lo decide per me. Io decido quando posso bere tanto e quando posso bere poco. Nel modello neo-salutistico, invece, io non ho più questa possibilità: c’è una norma che vuole uniformare i comportamenti dei cittadini.

 Come coniugare, però, il compito di cura di uno Stato con le libertà individuali?

È la domanda centrale: come armonizzare società e individuo. Partiamo dalla considerazione che “i processi della vita quotidiana” sono appunto “processi”, “percorsi” e non norme, leggi. Il concetto di autonomia intellettuale è fondamentale nel immaginare un cittadino libero. Invece oggi si impone una tendenza dirigistica che impedisce la decisione autonoma del soggetto che è il grande valore del pensiero occidentale. Il conflitto che questi “percorsi” tra individui, che i processi quotidiani, possono determinare è decisamente migliore della uniformità. Nella concezione contemporanea la vita quotidiana è determinata anche dal conflitto: è la riflessione su come risolvere il conflitto che porta a determinare se una società sia autoritaria o liberal. Le soluzioni dei conflitti non possono essere predeterminate: se si elimina il conflitto si entri in una società autoritaria.

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