Tutto quello che non si dice sul vino dealcolato: servono regole certe e limiti sugli zuccheri

6 Mar 2025, 17:37 | a cura di
La qualità ancora tragica, la mancanza di norme definite, il paradosso sulla sostenibilità. Ecco il punto sul tema del momento

Da consumare entro maggio 2026. Sulla scrivania abbiamo un vino dealcolato, la data di scadenza sulla retro etichetta ci ricorda la sua incapacità di tenuta nel tempo, proprio come una bevanda comune. Lo zucchero totale per litro si aggira sui 70 grammi, eppure si avverte meno sul piano sensoriale perché l’acidità è aggiustata. Nella lista degli ingredienti figura anche il conservante E242. Tutto ciò è permesso perché non esiste un disciplinare sul dealcolato condiviso a livello europeo. In alcune nazioni come in Italia è vietata l’aggiunta di acqua e aromi, in altre nazioni c’è ampio spazio per la fantasia. Com’è possibile che un prodotto autorizzato dall’Unione europea a essere commercializzato con la scritta vino non abbia regole codificate a tutela di chi lo produce e di chi lo consuma?

Togliere l'alcol non basta

Tutta la comunicazione punta sull’assenza di alcol, su una paventata salubrità rispetto al prodotto convenzionale. E gli zuccheri? E gli altri additivi ingeriti? Certo, ci sono rarissimi casi virtuosi che abbiamo toccato con mano all’ultimo Wine Paris, dove il padiglione Zero tasting ha finito i campioni in assaggio già al secondo giorno, ci ha confessato l'Ad della fiera Rodolphe Lameyse. Non è ben chiara la portata del movimento, di sicuro è ingigantita in questa fase schizofrenica dei consumi. È il momento della curiosità, ma nell’assaggio di divertente c’è ben poco. La qualità media è pessima, tra l’annacquato e il tragico gusto di dealcolato che ricorda l’amido del riso bollito. Si noti bene: un buon dealcolato dovrebbe costare più di un vino tradizionale.

Il ragionamento è lineare: si parte da un vino finito per poi dealcolare; l’operazione più diffusa al momento è tramite l’uso di membrane per osmosi. Il processo richiede tanta energia e soprattutto risorse idriche importanti e non più riutilizzabili. Insomma, nulla di più lontano dalla parola magica “sostenibilità”.

Serve una stretta regolamentazione

Sul piano tecnologico sono stati fatti passi avanti in poco tempo, ma al di là della sperimentazione molte cantine non hanno ragionato sul posizionamento (culturale e di mercato) del dealcolato, inseguendo meramente un’indicazione netta del mercato. Spesso hanno affidato la produzione a brand esterni: il rischio di snaturarsi è dietro l’angolo. Occorre fare chiarezza, perché da opportunità a seria minaccia il passo è brevissimo. Ci aspettiamo una più stretta regolamentazione in tempi brevi e anche una nuova narrazione capace di tenere lontani i segmenti: il dealcolato non come un surrogato del vino, ma un prodotto con una diversa identità pensato per un nuovo consumatore che (ancora) non apprezza il vino. Uno strumento di partenza per accedere a una nuova dimensione esperienziale.

L’attuale crisi del mondo enologico è una crisi culturale, di messaggi, d’identità. Cambiano ed evolvono i bevitori, i mercati, il clima: tutto questo genera confusione sia tra le cantine che tra gli appassionati. Per questo servono regole nette e scelte coraggiose. Che di nemici, oggi, il mondo del vino ne ha fin troppi.

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