È un brutto vizio, ma non posso farne a meno. Sono una fumatrice, lo metto subito in chiaro per non creare fraintendimenti: conosco bene la sensazione di piacere di una sigaretta accesa dopo il primo sorso di vino. Questo, però, non mi impedisce di essere a favore del divieto di fumo nei dehors: è un segno di civiltà, educazione, buone maniere. Oltre che indice di rispetto nei confronti della salute alturi. È un qualcosa che in alcune zone sta già avvenendo, ma che dovrebbe essere la norma ovunque.
Il divieto di fumo nei dehors di Torino
Entro due settimane, sarà realtà a Torino. Una modifica dell’articolo 7 del Regolamento di polizia urbana, che introduce il divieto a meno di 5 metri di distanza dalle altre persone alle fermate degli autobus, alle manifestazioni, nei parchi e nei dehors. Tranne in caso di consenso da parte dei vicini. Una regola che vale sia per le sigarette tradizionali che per quelle elettroniche, e naturalmente anche per tabacco, pipa e sigaro. Pena una multa da 100 euro.
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Intanto, nel Regno Unito, il 16 aprile 2024 la camera dei Comuni ha votato il divieto all’acquisto di sigarette a tutte le persone nate dal 2009 in poi, alzando così di anno in anno il limite di età, con l’obiettivo di creare prima o poi un paese zero-fumo, arrivando a «una generazione che ha smesso di fumare» come ha spiegato il primo ministro Rishi Sunak. Sono stati 383 i voti favorevoli e 67 i contrari, con diverse proteste da parte del partito conservatore.
Fumare non è più «cool», ma è un vizio duro a morire
Quello dei dehors è un tema che ricorre già da anni: a Olbia, la scorsa estate il sindaco Settimo Nizzi aveva emesso un’ordinanza comunale per estendere il divieto agli spazi esterni dei bar, ristoranti, hotel ed esercizi simili, compresi quelli allestiti con sedie e tavolini senza coperture. Elisa Motterle, guru del galateo del nostro secolo, porta avanti questa battaglia da anni: fumare dovrebbe essere un vizio relegato alle mura domestiche, non solo per motivi di salute ma anche di buona educazione.
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Negli ultimi anni, poi, la cultura del fumo è cambiata: sono sempre più diffuse le sigarette elettroniche, le Iqos, gli «svapini» profumati alla mela o alla vaniglia, ma si tratta pur sempre di fumo. Sembravano quasi passate di moda, per un periodo, ma poi le sigarette sono tornate: il New York Times nel 2022 parlava del ritrovato interesse dei giovani verso questo vizio, un anno dopo il Guardian decretava la fine dell’era del salutismo, e il ritorno del fascino del fumo. Certo, fumare non fa più «figo» come un tempo (e per fortuna) ma la percentuale di fumatori è ancora alta (in Italia si aggira attorno al 20%) e la pandemia non ha cambiato le cose.
Ventun anni dopo il divieto di fumo nei locali
Solo fino a una ventina d’anni fa, accendersi una sigaretta al bancone del bar dopo un caffè rientrava nella norma. La Legge Sirchia arrivò nel 2003 e al tempo fu una vera rivoluzione. Come tutti i passaggi chiave dell'evoluzione, inizialmente sembrava impossibile: al contrario delle peggiori aspettative, però, le persone non smisero di andare a cena fuori o bere una birra con gli amici, semplicemente si adattarono, come ha registrato la Fondazione Veronesi. Un'indagine dell'Istituto superiore di sanità sui proprietari di pub e ristoranti dell'epoca rilevò che, dopo l'entrata in vigore della legge antifumo, solo il 2% dei locali aveva riscontrato polemiche da parte della clientela.
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Abbiamo smesso di fumare nei cinema, negli autobus, in pizzeria. Possiamo farlo anche ai tavolini in piazzetta, anche se ora sembra impensabile. Si sta all'aperto, si fuma: è una regola non scritta rimasta per molto tempo indiscussa, ma è giunto il momento di riconsiderarla. Un divieto simile comporterebbe una grande trasformazione culturale, e sarebbe un ottimo esempio per le nuove generazioni.
Magari non si fumerà di meno (con buone probabilità sì, ché la sigaretta è la più fedele compagna delle bevute) ma si darà un gran segnale di civiltà.