Oggi sembra banale: pizza a lenta lievitazione e impasto con lievito madre. Sono ormai migliaia le pizzerie che proclamano l’uso di una maturazione naturale delle loro pizze e ne sbandierano digeribilità e leggerezza. Ma se ci pensiamo, il fenomeno è assai recente…Nel mensile di luglio del Gambero Rosso siamo andati alla scoperta delle origini della pizza contemporanea.
Quando si è andati oltre la pizza tradizionale
È partita dai “polentoni” questa rivoluzione: loro per primi hanno osato toccare l’intoccabile, la pizza italiana e l’intero processo di produzione. Lievito madre, padellini, un disco più alto e più soffice, alveolato, con un condimento da rivedere e mettere a punto a ogni cambio di menu, proprio come in un ristorante. Una evoluzione accettata da tutti? Niente affatto: furono in molti a gridare allo scandalo, rivendicando l’importanza di proteggere la pizza tradizionale; furono in moltissimi a non capire quel nuovo modo di lavorare e di pensare. Eppure quel cambiamento segnò l’inizio di una nuova era per tutta la pizza italiana, da cui fortunatamente in moltissimi hanno tratto beneficio in tutta la Penisola, isole comprese.
La folgorazione nel laboratorio di un fornaio
Riavvolgiamo il nastro di una ventina d'anni. Nel 2000 Simone Padoan chiudeva l’osteria di famiglia per riaprirla con una formula tutta nuova, che raccontasse un concetto di pizza diverso. “Volevo proporre una pizza più alta, più sviluppata, che fosse bella esteticamente e che per certi versi raccontasse i profumi del pane - racconta il pizzaiolo veneto - Così ho iniziato a trascorrere le mie notti nel panificio del padre di un amico, nel Vicentino: loro sapevano usare bene il lievito madre, e da lì ho iniziato a sperimentare per arrivare al prodotto che immaginavo”.
All’inizio (e ancora oggi non mancano critiche in questo senso) in pochi lo capirono, si parlava di una pizza troppo panosa; eppure era proprio quello il risultato che Simone voleva ottenere: una base che si portasse dietro tutti i profumi del grano, proprio come un pane. “Oggi il mio prodotto è sicuramente diverso da allora, è frutto delle esperienze che ho fatto, del mio modo di vedere la pizzeria nel complesso - spiega Padoan - Il lievito madre è stato il punto di partenza e l’elemento attorno a cui ruotava tutto il resto, ma non è mai stato l’unico aspetto importante. L’evoluzione per me è stata iniziare a ragionare da imprenditore, sistematizzare le mie conoscenze e i miei desideri in un processo di lavoro razionale. E gli scambi, gli incontri di quegli anni furono fondamentali”.
La new wave romana
Nel 2003 Gabriele Bonci a Roma apriva Pizzarium e la pizza romana in teglia si riscriveva in ogni aspetto, dal campo di grano alle tecniche di cucina applicate agli impasti. A Napoli Enzo Coccia iniziava un lavoro incredibile sulla materia prima che avrebbe ispirato pizzaioli di tutta Italia. “Nel 2004 fui invitato a un evento alla Gatta Mangiona, a Roma, da Sandro Sangiorgi - racconta ancora Padoan - ricordo benissimo che quella sera Giancarlo Casa durante il suo intervento disse chiaramente che nessuno ancora in Italia stava lavorando a fondo sull’utilizzo del lievito madre nella pizza e quando presi la parola a fine serata non vedevo l’ora di raccontare la mia esperienza e aprire il campo di sperimentazione a chi mi avrebbe ascoltato. Quella sera in sala c’era un ragazzone che mi riempì di domande e che con la pasta acida aveva iniziato le sue prime prove: era Gabriele Bonci, e da quel giorno siamo sempre rimasti in contatto”.
E i fermenti di quegli anni furono ben fotografati e sostenuti da Gambero Rosso, che riunì in una trasmissione televisiva Padoan, Bonci e Coccia. Esperienze e sperimentazioni di grandi professionisti si incontrarono, a volte quasi per caso, a volte per cercare supporto nella scoperta di un campo con degli scenari totalmente nuovi.
L’esperienza di San Patrignano
Nel 2005 nel laboratorio di panificazione di San Patrignano accadeva qualcosa che avrebbe segnato il mondo della pizza per sempre, dandogli slancio e nuove speranze. Giuliano Pediconi veniva ingaggiato per un corso di panificazione della durata di 6 mesi. “Fu un’esperienza unica per me, quello è un luogo che ti coccola e ti distrugge allo stesso tempo, amplifica i rapporti umani come non mai”, spiega Giuliano. Il panificatore marchigiano lavorava con il lievito naturale già dagli anni ’90. All’inizio del corso si concentrò soprattutto sui grandi lievitati (di cui ancora oggi San Patrignano vanta una produzione unica in termini di qualità e quantità), poi sul pane e in ultimo sulla pizza. “Iniziai a lavorare con un pizzaiolo napoletano e non fu facile chiaramente, per molto tempo continuava ad aggiungere all’impasto una piccola percentuale di lievito di birra pensando che non me ne accorgessi, ma poi tutto andò a regime e dalla nostra collaborazione nacquero prodotti unici”.
In quegli anni arrivava a San Patrignano anche Beniamino Bilali, il pizzaiolo albanese che tanto si è fatto conoscere in Italia per il suo lavoro sull’idrolisi degli amidi. Da ’O Malomm (la pizzeria di San Patrignano che oggi si chiama Sp.accio) si cercava un pizzaiolo nel ruolo di responsabile e lui si presentò per il colloquio. “Beniamino veniva da una pizzeria di Riccione, non ci mostrò delle pizze pazzesche, ma aveva negli occhi un grande voglia di conoscenza. Cercò di apprendere quanto più possibile sul lievito madre e subito ci mise del suo, rimpicciolì il disco di pasta, lasciando il bordo leggermente alto, lavorò molto per ottenere un impasto ben alveolato, un prodotto soffice. Si facevano tre rinfreschi al giorno e si lavorava senza tanta tecnologia, usavamo le stanze con i condizionatori per controllare la temperatura delle fermentazioni” racconta ancora Pediconi. E quasi per caso nacque uno dei prodotti che segnò la sperimentazione di quegli anni. In laboratorio, a San Patrignano, in quel periodo Giuliano produceva un pane con grano spezzato e farro. Un giorno Beniamino dimenticò di aggiungere il lievito all’impasto: notò che la fermentazione (in quel caso spontanea) era andata avanti lo stesso e provò a farci delle pizze. “I risultati migliorarono di volta in volta fino a ottenere un prodotto straordinario”, racconta Giuliano.
Iniziano scambi e nuove esperienze come le pizze con l'idrolisi
“Stavamo scrivendo un capitolo nuovo della storia della pizza, si lavorava affascinati dalla scoperta del quotidiano”, ci racconta Bilali. Oggi lui è impegnato in una nuova avventura a Oslo: Vinotek. Una pizzeria con 40 coperti che nasce dal desiderio di uno dei sommelier più quotati della Norvegia di associare al vino un prodotto unico come la pizza di Beniamino. “Ho raccontato il lievito madre e la burrata a Rimini, posso spiegare anche un concetto diverso di pizza in Norvegia, una bella sfida - ricorda Bilali - Per me quella a San Patrignano fu l’esperienza con la e maiuscola. Iniziai per la prima volta a vivere la ristorazione come un’azienda, a lavorare per un prodotto eccellente nobilitato ancora di più da ciò con cui veniva condito, in gran parte prodotto all’interno della Comunità stessa. Fu allora che incontrai gli Aloe, che avevano il loro progetto a Castel Maggiore, lo sposai completamente”.
Nasceva Berberè e Bilali insieme a Matteo e Salvatore Aloe facevano parlare l’Italia intera delle loro pizze con l’idrolisi degli amidi. Dopo Berberè per Beniamino arrivò poi Pummà e diverse altre consulenze. Negli anni in cui Renato Bosco con Simone Padoan dal nord urlavano forte e chiaro che la pizza stava cambiando, che poteva essere diversa e pur sempre pizza. Le radici di un lavoro profondo correvano veloci lungo lo Stivale e una squadra di artigiani era pronta ad andare ancora più a fondo, a nobilitare un sistema, un comparto, un mestiere. Oggi, il fenomeno è sotto gli occhi di tutti noi: il lievito madre ha fatto proseliti in Italia e in tutto il mondo, anche in quello della pizza. Ora sembra normale, ma l’inizio non è stato affatto semplice.
a cura di Sara Bonamini
QUESTO è NULLA...
Nel mensile di luglio del Gambero Rosso trovate l'articolo completo con un focus sul lievito madre e sugli impasti senza lievito aggiunto, una timeline degli ultimi 20 anni della nuova pizza italiana, l'esperienza di Simone Padoan durante il lockdown, l'esperienza di Gabriele Bonci con ben 4 lieviti madre e un intervento di Enzo Coccia nel quale ricorda come nacque il confronto tra le tre grandi scuole di pizza (napoletana, in teglia e a degustazione). E ancora, un'intervista a Ciro Salvo, i migliori indirizzi dove trovare la pizza fatta con lievito madre e un focus sulla pizza a fermentazione spontanea firmato Giuliano Pediconi.
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