«Io sono davvero scioccato da questa vicenda. Ho anche partecipato al dibattito sotto al video di Luca… Del resto, ho vissuto anche io una condizione simile, quando il Financial Times pubblicò la mia intervista in cui smitizzavo alcuni luoghi comuni sulla cucina e sulla gastronomia italiana…». Parla Alberto Grandi, professore di Storia dell’Alimentazione all’Università di Parma. Era lo scorso marzo – in occasione della presentazione della candidatura della cucina italiana a Patrimonio universale dell’Unesco – che il prof parlò delle origini americane della Carbonara. E anche allora furono insulti e minacce di morte.
La ricetta della vera Carbonara non esiste
Oggi tocca a Luca Cesari con il suo video sulla Carbonara del 1954 a subire lo stesso trattamento da parte dei “sacerdoti della tradizione”. Così abbiamo sentito Grandi per sentire cosa ne pensa lui di queste vicende.
Professore, una prima domanda: ma lei una carbonara del ’54 cucinata da Cesari, la mangerebbe?
Certo, anche solo per curiosità, per capire cosa si mangiava un tempo a differenza di quel che si mangia oggi. Il lavoro di Luca è prezioso, ma essendo un amico il mio parere è irrilevante. Però posso ricordare che ho discusso con Benedetta Rossi perché aveva parlato della sua “Carbonara sbagliata”: io le dissi che aveva fatto un solo errore, ovvero chiamarla sbagliata. Proprio perché la carbonara è stata fatta in mille modi diversi e non esiste quella gusta. Il giusto e lo sbagliato non attengono alla storia della cucina e tanto meno a quello della carbonara.
Però sembra che in Italia si possa parlare di tutto, insultare tutti, dal Papa al Presidente della Repubblica. Ma la Carbonara non si tocca! Non le pare?
Ecco, direi che è davvero il segnale di una patologia grave che sta attraversando il nostro Paese e da cui spero, ma non ne sono sicuro, che l’Italia riesca a uscire alla svelta. Mi sembra una malattia sociale. Aggiungere la panna o la cipolla nella carbonara – cose che si facevano fino a 20 anni fa – è come mettere in crisi l’italia. È pazzesco… Siamo un Paese in grave crisi di identità che si deve aggrappare al guanciale della carbonara per poter dire che esiste. Se uno fa diversamente, è un’offesa. È come per un francese soffiarsi il naso con la bandiera nazionale.
Ma perché proprio il cibo e la tradizione gastronomica catalizzano reazioni così violente?
Ripeto, perché siamo davvero in una grande crisi. Ci siamo raccontati la balla per cui noi italiani abbiamo sempre mangiato bene e siamo sempre stati maestri di cucina: abbiamo finito per crederci. E questo falso mito diventa l’elemento costitutivo del nostro essere italiani. È incredibile la rimozione della memoria: tanto che in molti hanno commentato: la mangiavamo così anche noi, mia mamma o mia nonna la facevano così…
Dove portano questi atteggiamenti?
Credo che ci mettano in un circolo vizioso. C’è qualcuno – anzi sono molti – che credono che il benessere di questo Paese possa dipendere dal fatto che i turisti vengano a mangiare la carbonara vera in Italia. Ma non è così: se lo fosse, sarebbe un disastro per l’Italia. Fermo restando che mi auspico che tutti i produttori e i cuochi vendano tonnellate delle loro creazioni, vedo però nell’atteggiamento di cui parlavo una sorta di cupio dissolvi. Mi sembra di vivere in un Paese che vuole andare verso il declino.
Cosa vede per il futuro, dunque? Meno turismo e più industria?
Temo di no, ma me lo auguro. La gastronomia è un pezzo importante di economia, il 10% del Pil e spero che cresca: ma non può essere tutto. Quel 10% mi interessa da studioso e anche da appassionato, ma da italiano punterei sul restante 90%. Abbiamo industrie e laboratori creativi e questo credo che sia importante…