"Veganuary! Per me è andata alla grande. In questo mese non ho mangiato nemmeno un boccone di carne, e rinunciarci è stato molto più facile di quanto mi aspettassi. Sto per iniziare un febbraio vegano, chi è con me?". Così Brian May, chitarrista dei Queen, raccontava il periodo di astinenza dalle proteine animali intrapreso lo scorso anno a gennaio, insieme ad altre 400mila persone in tutto il mondo e oltre 100 personaggi dello spettacolo. Parliamo di una delle proposte etico-ambientali più gettonate degli ultimi tempi: il Veganuary, movimento verde nato dall’idea di un gruppo di volontari inglesi che dal 2014 ad oggi si è rapidamente diffuso in 192 paesi, incoraggiando e supportando la popolazione nella scelta di convertirsi allo stile di vita vegano per un mese. Fenomeno di tendenza o rivoluzione globale? Difficile dirlo, ma quest’anno i dati parlano chiaro: la campagna ha già raggiunto la quota di 500mila iscritti, un numero da record.
Veganuary: come (e perché) funziona la campagna mondiale
Oltre all’impatto mediatico dei testimonial famosi - da Paul McCartney a Joaquin Phoenix- il Veganuary deve la sua popolarità anche alle modalità di partecipazione, che permettono ai “vegani occasionali” di entrare nel vivo di una comunità basata sulla condivisione dei risultati raggiunti. Gli iscritti al sito, infatti, ricevono quotidianamente una mail con un menu settimanale composto da ricette bilanciate e consigli nutrizionali per approcciarsi al nuovo regime alimentare. Nel corso del mese, inoltre, l’associazione Essere Animali -partner italiano della campagna- organizza alcuni eventi online coordinati dal medico nutrizionista Silvia Goggi. Un’altra fonte inesauribile di informazioni è Instagram: sul social network l’hashtag della sfida green raggruppa 1,2 milioni di post che propongono piatti vegetali a base di pasta e sostituti della carne. La risposta dei brand leader nella grande distribuzione non si è fatta attendere.
I grandi marchi che sostengono il Veganuary
Già da un mese i supermercati britannici hanno incrementato la vendita di cibi pronti vegani per aderire al Veganuary. Fra i più attivi Tesco, che dà visibilità al movimento con i suoi spot televisivi e radiofonici, e Aldi, il cui sito web ospita un archivio virtuale di ricette plant-based facilmente replicabili. La ristorazione non è da meno: in prima linea i fast food, pronti a lanciare varianti salutari (o presunte tali) dei loro cavalli di battaglia -dal Burger King Classic 100% vegano dell’omonima catena, alla pizza con pollo di soia di Domino’s- mentre gli chef dei ristoranti londinesi puntano sui menu degustazione a domicilio in edizione limitata. E in Italia? Lo scorso anno il nostro Paese era al terzo posto per numero di adesioni a livello europeo, e Milano la sesta città su scala mondiale. Fra poco scopriremo se il mese di gennaio 2021 confermerà -o supererà- la tendenza green, che nel 2020 ha registrato ben 15000 adesioni.
Un gennaio vegano e alcol-free
Siamo realisti: un breve periodo di alimentazione vegan non cancellerà con un colpo di spugna i grandi problemi che minacciano l'equilibrio ambientale, come le emissioni di gas serra, su cui l'allevamento animale ha un impatto del 14,5%, o la perdita di biodiversità negli ecosistemi ampiamente danneggiati dall'attività umana. Ma vale la pena provare a cambiare le cose, e 31 giorni di buoni propositi alimentari potrebbero avere un impatto più significativo del previsto sulle nostre abitudini future. A proposito, il Veganuary non è l'unico movimento internazionale che fa di gennaio un mese particolarmente virtuoso. Risale al 2014 anche la registrazione ufficiale della campagna di salute pubblica Dry January, oggi sostenuta dall'ente di beneficienza Alchol Change UK.
Dry January: un mese intero senza alcolici
A differenza del Veganuary, il Dry January si è diffuso soprattutto in Regno Unito, Francia e Svizzera. Secondo Alchol Change UK i benefici del mese di astinenza potrebbero migliorare la vita di molte persone, ma quest'anno i dati non sono incoraggianti, vista anche la crescita vertiginosa nel consumo di bevande alcoliche innescata dalla pandemia. Qualche giorno fa un'indagine condotta da KAM media ha riscontrato un calo del 17% nel campione di individui che si erano dichiarati propensi ad aderire alla campagna appena un mese fa. Il 75% dei partecipanti, invece, sta puntando su drink e birre analcoliche -sempre più richiesti dai grandi punti vendita, così come i prodotti vegani- per tamponare la crisi d'astinenza. Nel frattempo, l'associazione britannica supporta gli iscritti con i suoi consigli sul web. E precisa: "Non siamo contro l'alcol. Vogliamo innescare un cambiamento nel consumo di alcol".
a cura di Lucia Facchini