“La celiachia? C'è tanta ignoranza e pregiudizio. Da bambina stavo per morire". Intervista a Valentina Leporati

5 Dic 2024, 17:15 | a cura di
A soli 17 mesi le è stata diagnosticata la celiachia, gli anni successivi non sono stati semplici, ma Valentina Leporati è riuscita a superare il bullismo e le esclusioni per parlare della celiachia a chi come lei la vive in prima persona

Ha trentasei anni Valentina Leporati e da quando è nata convive con la celiachia, quella malattia alimentare che oltre a innumerevoli attenzioni comporta delle privazioni e una riorganizzazione alimentare difficoltosa. Dopo un’adolescenza passata fra atti di bullismo e chiusura sociale, il riscatto è arrivato quando ha cominciato a studiare il suo nemico, la celiachia stessa, che poi è diventata sua alleata. L’informazione e la conoscenza del mondo senza glutine è diventata una missione tanto da portarla anche a rischiare economicamente avviando un’attività di prodotti alimentari senza glutine in Liguria e a diventare la conduttrice di un programma su Food Network, “Il sorriso in cucina”. Con quasi 130mila follower è anche un’influencer del senza glutine.

Quando e come ha scoperto di essere celiaca?

L’hanno scoperto i miei genitori quando avevo 17 mesi. Ero una minuscola bambina che non cresceva: avevo le gambe magre, la pancia gonfia e poi sintomi classici come vomito e diarrea.

Quali sono state le prime difficoltà?

Nel 1989 il settore medico non era preparato sul tema, tutti sentenziavano le loro ipotesi: “è acetone”, “cattivo appetito”, “problema muscolare”, fino a quando non è arrivato un medico è ha detto quella parola: malassorbimento. Mi hanno portato all'ospedale Gaslini di Genova dove mi hanno fatto la gastroscopia e diagnosticato malassorbimento da celiachia. Poco meno di un mese e sarei morta.

Come ha vissuto socialmente la sua celiachia?

Da molto piccola non mi trovavo in difficoltà perché erano gli adulti a occuparsi di me, il problema è arrivato dopo.

Cosa è successo? 

Ho vissuto tantissima ignoranza e pregiudizio, le domande che mi venivano fatte erano assurde e mi ferivano: “Se ti lancio la farina, muori?”, oppure “Ma si attacca?”. Per me era una pugnalata ogni volta, mi faceva sentire contagiosa.

Oltre alle offese altrui, cosa le creava difficoltà dal punto di vista sociale?

L’adolescenza è stata problematica, avevo difficoltà a casa di amici, in viaggio, quando non hai il controllo delle cucine, degli ingredienti di casa che conosci e sono sicuri, è difficile e ci vuole organizzazione. Ho patito molto fino a quando a non sono uscita più di casa.

E poi cosa è successo?

Mi sono sentita una sfigata quando all’ennesima gita in Grecia del quinto superiore non sono andata, non avevo più a che fare con me stessa non potevo vivere un limite: i miei compagni avevano fatto esperienze, erano diventati amici, e io era stata in cameretta ad ascoltare musica punk e a leggere. Facevo andare avanti la celiachia dimenticandomi che ero Valentina. Poi ho detto basta: mi sono messa a studiare, bisogna conoscere la celiachia per fare pace ed essere indipendenti.

Foto Sara Argiolas

Si è fatta anche tatuare…

Sì, a 18 anni, il mio primissimo tatuaggio: una spiga di grano barrata. Quando ho deciso di fare questo switch è stato come indossare il mio stigma, era un simbolo di rivalsa. Ed è lì che ho ricominciato a uscire con paure, ansie perché consideriamo anche che i mezzi non erano quelli di adesso: non c’erano app, il supermercato non aveva molti prodotti senza glutine, per dire.

La celiachia è anche una malattia sociale, dunque?

Sì è una ancora una malattia sociale, io mi muovo con una certa tranquillità, eppure ancora oggi ci sono situazioni che creano frustrazione. Ma dopo 36 anni non è ammissibile, sono situazioni che combatto e per molte altre persone gli ostacoli sono ancora grossi. Non nego che si sono fatti tanti passi avanti, per esempio una volta la spesa si faceva in farmacia non al supermercato, e uscivi con lo stigma sulla fronte.

Dalla fine degli anni Ottanta com’è cambiato socialmente il modo di percepire la celiachia?

Sono aumentate le diagnosi e lo studio, e le persone hanno cominciato a sentire questa parola. Diciamo che si sono fatti passi avanti, ma non del tutto: tutt’oggi mi sento spesso dire “Poverina, come fai?”, nell’immaginario comune il celiaco si nutre di poco perché non mangia quello che mangiano gli altri, non è sempre così: una volta gli alimenti senza glutine erano pochi, ora si trova qualsiasi cosa.

Lei ha un laboratorio/pasticceria di prodotti senza glutine a Sarzana (Liguria), che è un Comune con poco più di 20mila abitanti. C’è stata diffidenza quando lo ha aperto?

All’inizio, nel 2017, le persone non entravano perché pensavano che gli alimenti fossero senza gusto, senza consistenza e sapore. Ho dovuto fare un lavoro enorme per raccontare la bontà dei prodotti. Oggi ho clienti anche non celiaci che hanno capito e si affidano al mio lavoro.

E i profitti vanno?

Diciamo che è più una missione che un lavoro profittevole, una persona si deve immolare per le cause in cui crede, è una dura verità ma è cosi. Il negozio va in pari, almeno. Ho dovuto fare un enorme storytelling, anche se sui social non racconto il mio laboratorio, lo faccio molto raramente, le persone sanno che vivo li dentro quasi 18 ore al giorno ma è difficile che ti mostri la torta, non succede mai ma la cosa bella è stata raccontare la mia storia, la celiachia.

Foto Sara Argiolas

Non pensa che il senza glutine sia percepito spesso come una tendenza anziché come tipo di alimentazione per chi è celiaco?

La tendenza è una buffonata. Quando entra qualcuno nel negozio e sento dire: “Mi hanno consigliato di mangiare senza glutine perché è più leggero”, io spiego tutto ma non vendo i prodotti, mostro le tabelle nutrizionali, combatto la disinformazione soprattutto quella di chi pensa che il senza glutine faccia dimagrire.

Lo Stato fornisce il bonus celiachia: una sovvenzione che viene data in misura diversa a uomini (che ricevono di più) e a donne (che percepiscono meno). Cosa ne pensa di questa disparità?

È una cosa anacronistica e ingiusta, vergognosa: c’è bisogno che il divario maschio-femmina venga eliminato e mi batterò all’infinito perché sia uguale per tutti, la cifra non mi interessa credo debba essere onesta che permetta alle famiglie di acquistare cosa serve. Però il lato positivo del bonus celiachia è che siamo uno dei pochi paesi ad averlo, questo grazie al grande lavoro che è stato fatto in passato perché delle persone si sono battute.

È di qualche giorno fa la notizia che le prestazioni per la diagnosi o il monitoraggio della celiachia saranno gratuite a carico del SSN dal 2025. Come commenta questa notizia?

Ogni notizia positiva sul tema della celiachia viene accolta con grande entusiasmo dalla comunità. Sempre di più si riconosce ai soggetti affetti da celiachia la necessità di una tutela e di un sostegno da parte dello Stato e questo per me, per tutti noi, è un grande traguardo. Per la malattia celiachia lo Stato aveva già attuato delle politiche di sostegno e questa notizia aggiunge un ulteriore tassello alla missione di totale inclusività e riconoscimento. È importante allo stesso modo che siano state incluse altre malattie come l’endometriosi e alcuni tipi di disturbi alimentari e mentali. L’invisibilità è il male peggiore quando si parla di queste malattie e oggi possiamo effettivamente festeggiare un piccolo passo avanti che per molti di noi è enorme.

Anche se lei è nata celiaca e non lo è diventata, le è mai venuta la voglia o la curiosità di assaggiare cibi con il glutine?

Sarei bugiarda a dire che non mi venga voglia. Dai miei 16 anni fino ai 29 ho imparato a cucinare con il glutine ma senza assaggiare, nel frattempo ho sviluppato altri sensi rispetto al gusto: ho imparato a cucinare guardando, annusando. Non ho mai sgarrato la dieta per mia scelta, se è successo è stato per errori di alcuni ristoranti. Sto talmente male quando assumo glutine che sarei una folle a decidere di avvelenarmi.

E con il suo lavoro al laboratorio come fa a riprodurre i sapori dei prodotti simili a quelli con glutine, se non li ha mai potuti assaggiare?

È difficile riprodurli, ho i miei assaggiatori ufficiali, mio marito per primo che testa i miei prodotti, a lui chiedo di darmi indicazioni e lì, come una piccola chimica, creo miscele.

Cosa si sente di dire a una persona che scopre all’improvviso di essere celiaca?

Cercare dei riferimenti, ascoltare storie degli altri in cui trovare similitudini con la propria. E poi collaborare, condividere, parlare e fare domande, non esistono domande stupide se serve a eliminare un dubbio. E non vergognatevi mai non avete scelto di essere celiaci. Non privatevi di esperienze per colpa della celiachia.

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