Lo sconcerto è stato tanto quando, lo scorso ottobre, si diffuse un video di un operaio in tuta da lavoro che orina dentro a una enorme vasca contenente, a quanto pare, malto in lavorazione, presso lo stabilimento della birra Tsingtao nella città di Qingdao, nella regione settentrionale dello Shandong, in Cina. Il danno d’immagine immediato è stato enorme, con relativo crollo dei titoli in Borsa (sia a Shanghai che a Hong Kong), per quanto questo si sia rivelato solo un episodio estemporaneo nella prassi lavorativa dello stabilimento. L’azienda ha comunque dovuto emettere un comunicato in cui ha assicurato che stava portando avanti un’inchiesta approfondita al fine di determinare e chiarire l’accaduto, e che la vasca in questione era stata immediatamente sigillata impedendo così a quel lotto di birra di contaminarne altri.
Il video in giro per il mondo
Come è prevedibile di questi tempi, il video ugualmente ha fatto il giro del mondo raccogliendo decine di milioni di visualizzazioni in poche ore, e il nome della Tsingtao lì per lì sembrava spacciato, sia in Cina che all’estero: l’etichetta di Qingdao è la più famosa tra le birre cinesi, la prima del Paese per esportazioni; e proprio nel 2023 ha celebrato il suo 120esimo anno di attività.
Poche aziende in Cina hanno questo livello di prestigio, di storia, di apertura e di riconoscibilità: il gesto del lavoratore è andato così a colpire un marchio che si è invece abituati a rispettare e a considerare familiare un po’ in tutto il mondo, accompagnamento quasi costante di cene cinesi di vario tipo, una lager abbastanza leggera e dal sapore non troppo ingombrante.
La nuova Cina
Culturalmente, poi, la Tsingtao è il simbolo di una Cina aperta, contrariamente a quello che sembra aver preso il sopravvento in questi ultimi anni. La Cina infatti è un immenso Paese dalla storia contorta e poco nota: di Cina si parla spesso, ma quasi sempre senza troppo preoccuparsi di sapere in maniera approfondita le cose di cui si discute, compresa la birra che è sì elemento tradizionalmente quotidiano del nostro panorama occidentale così come pure lo è in Cina anche se non ce lo immaginiamo immediatamente.
La storia della bionda cinese
La storia di Tsingtao affonda le radici in uno dei periodi più complessi della modernità cinese: viene infatti fondata da industriali tedeschi che avevano colonizzato la parte più orientale della penisola del Shandong, quella che loro chiamavano la Baia di Kiautschou – detta oggi baia di Jiaozhou, o di Qingdao (quest’ultimo è lo spelling attuale, in trascrizione ufficiale pinyin, di Tsingtao, che ne è invece la trascrizione precedente, detta Wade-Giles).
Sull’etichetta della birra vediamo il padiglione ottagonale alla fine del molo di Zhanqiao: un complesso costruito dai tedeschi nel 1891 e che dà l’impressione di gettarsi proprio in mare. Qui in un certo senso i tedeschi erano di casa. Infatti nel 1861 – nel corso di una delle tante guerre coloniali che le potenze europee (tra cui Russia, Giappone e Stati Uniti) lanciarono contro l’Impero dei Qing (1636-1912) con la speranza di spartirsi grosse fette del Paese – la Prussia ottenne dalla Cina la firma dei Trattati assolutamente non paritari che cedevano la penisola in questione e in particolare proprio la regione del Shandong.
La cessione si fece poi totale poco dopo, nel 1898, quando la Germania ottenne che Qingdao e la baia fossero sue per 99 anni. Doveva servire come base per lo Squadrone dell’Asia orientale della Marina imperiale tedesca ed essere il centro dello sviluppo commerciale della Germania in Cina. Ovvio dunque che servisse anche una birreria che, come ricorda tutt’oggi l’etichetta della birra, venne aperta nel 1903: appena undici anni prima che il trattato di cessione di Qingdao alla Germania venisse cancellato dall’arrivo dei giapponesi che lo dichiararono nullo impossessandosi del territorio tedesco in Cina. E prendendosi anche la birreria.
L’era giapponese
Per quanto il Giappone avesse dichiarato guerra alla Germania nel 1914, però, era pur sempre quel Paese un po’ ibrido appena uscito dalla riforma Meiji (1868-1912) e che voleva assolutamente essere considerato una potenza: ibrido perché guardava così tanto all’Occidente, e in particolar modo alla Prussia-Germania, con la determinazione di imparare quello che c’era da imparare per poter essere loro pari, a livello tecnologico e anche ideologico, in modo da non venire assoggettati e colonizzati. Parte di questo modernizzarsi prevedeva anche dei cambiamenti nelle abitudini quotidiane per mettersi al passo coi tempi e soprattutto per imitare le potenze occidentali anche in alcuni atteggiamenti, che fosse nei costumi quotidiani, nell’educazione o nei progetti politici.
Ciò includeva anche l’alimentazione, e le bevande: insomma, per restare a Qingdao il Giappone aveva stabilito che fra le tante cose necessarie per sconfiggere gli eserciti imperialisti occidentali c’era anche quella di abituarsi a esercitarsi come degli occidentali, ottenere le armi occidentali, studiare le tecniche occidentali e… bere più birra. E quindi, produrla. Il Giappone dunque si sbarazzò dei tedeschi, e prese le redini tanto della città di Qingdao che della birreria omonima, che non smise la produzione.
Le altre birre cinesi
La Tsingtao – pur famosa e importante nel panorama cinese – non era certo l’unica (ma nemmeno la prima) birreria in Cina: questo primato va alla Birra Harbin, tutt’ora esistente anche se di proprietà dell’americana Anheuser-Busch di St. Louis, Missouri. La birreria di Harbin, il capoluogo della provincia dell’Heilongjiang, nel nord del Paese, era stata creata dai russi, che cercavano di accaparrarsi un po’ di territorio Qing partendo da nord e che si erano stabiliti a Harbin. Qui la distilleria, con lo stesso nome della cittadina, era stata costruita principalmente per fornire birra ai lavoratori manuali che faticavano sulla Ferrovia Orientale Cinese, voluta e costruita dalla Russia con l’obiettivo di avere una scorciatoia per arrivare fino all’Oceano Pacifico attraverso le terre della Manciuria.
Qingdao però era qualcosa di diverso, forse per le fonti di acqua dalla montagna Lao che tutt’oggi vengono imbottigliate e sono divenute l’acqua minerale Laoshan, una delle più pregiate della Cina. Forse per la maggior aria di internazionalizzazione che aveva Qingdao rispetto alla gelida (in inverno) Harbin, quasi soltanto russa. Fatto sta che le birre chiare prodotte nello Shandong riscossero notevole successo, tanto in epoca tedesca che in epoca giapponese, in Cina e all’estero.
Di fatto, con la fine della Grande Guerra Pechino aveva sperato di ottenere di nuovo Qingdao, ma le potenze mondiali riunite a Versailles fecero come se la Cina non esistesse nemmeno, malgrado fosse stata uno degli alleati vincitori. Le istanze cinesi vennero ignorate, i possedimenti coloniali giapponesi furono ribaditi e si innescò un pesante rancore da parte dei cittadini di origine cinese verso gli imprenditori e i funzionari appartenenti alle potenze straniere dominanti: una rabbia che cova sotto la cenere e che ancora oggi non sembra del tutto scomparsa. Il primo grande movimento studentesco, il Movimento del 4 maggio, nacque proprio per protestare contro gli accordi presi a Versailles, che escludevano così sommariamente la Cina.
Anni d’oro e decadenza
Dopo una breve interruzione, dopo che le forze nazionaliste erano entrate a Qingdao, i giapponesi ripresero la città e la birreria negli anni Trenta, e la tennero fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, quando Qingdao e Tsingtao passarono agli americani, per poi essere lasciata ai cinesi. Nel 1949, quando salì al potere Mao Zedong e la Cina diventò comunista, la Tsingtao diventò statale e cominciò ad esportare già nel 1954, andando in particolare sulle tavole dei cinesi d’oltremare, quelli di b e del Sud-Est asiatico. Questa era l’epoca più ideologica della Cina, dove l’esportazione di birra serviva a ottenere un po’ di valuta.
Quando Mao lanciò la sua brutale campagna per sorpassare industrialmente l’Inghilterra (in quello che viene chiamato Il Grande Balzo in Avanti, che portò alla morte per fame e stenti almeno 30 milioni di persone), che impoverì così tanto il Paese, la Tsingtao continuò ad essere prodotta ed esportata, malgrado le materie prime potessero forse essere utilizzate in modi migliori che non per la maltatura.
Il boom della birra
Mentre i contadini non avevano nulla con cui sostentarsi, ecco che la Tsingtao produceva ed esportava: nel 1960, 146 milioni di litri di birra per l’export. L’arrivo di Deng Xiaoping e delle riforme economiche nel 1978 segnò un passaggio anche per la birra – man mano che la Cina si mise a correre, in fatti, il Paese si trovò ad affrontare un boom di assolutamente tutto: dall’oggi al domani, per esempio, 741 birrerie nazionali saltarono su dal nulla, con prodotti dall’accettabile allo scadente. Fino alla fine degli anni Novanta, molti commercianti dovevano fare i conti con partite avariate, bottiglie che esplodevano, e molte con finte etichette che recitavano Tsingtao, o Harbin, in bottiglie che contenevano tutt’altro.
I controlli più severi degli ultimi quindici anni hanno portato alla chiusura delle distillerie più scadenti, e ridato il giusto smalto alla centenaria Tsingtao. Fino al gesto sconsiderato del lavoratore che ha danneggiato ben più la reputazione del suo Paese che non quella di una semplice vasca, subito per altro sigillata.