In varie culture del Mediterraneo, associare le fave alla commemorazione dei defunti era la norma. Ce lo racconta anche Pellegrino Artusi: per gli antichi egizi erano il simbolo della reincarnazione; in Grecia il legame tra la pianta e la morte era simboleggiato dal cuore nero che contraddistingue i petali bianchi dei loro fiori; secondo Plinio il Vecchio (e nella spiritualità dominante nell’antica Roma) le fave contenevano le anime dei morti ed erano utilizzate nei Misteri di Dionisio e di Apollo e durante i Lemuria, o Lemuralia, le festività celebrate a maggio (appunto periodo di raccolta delle fave) per esorcizzare gli spiriti dei morti, i lemuri. Fu nel 609 che papa Bonifacio IV sostituì la festa pagana dei Lemuria con il giorno di Tutti i Santi, fino al 732 festeggiato il 13 maggio. Da quell’anno in avanti papa Gregorio III ne trasferì la celebrazione al 1 novembre e le fave - a questo punto essiccate - hanno cambiato la loro stagionalità.
Le fave dei morti
In molte regioni italiane ancora oggi le fave sono simbolo della tradizione delle festività dei Morti e di Tutti i Santi, ma in formato dolce. Ad indicare il legame con le fave dell'antichità sempre La Scienza in Cucina e L'Arte di Mangiare Bene: la ricetta 622 è appunto quella delle "Fave alla romana o dei morti" e Artusi la introduce così: «Queste pastine sogliono farsi per la commemorazione dei morti e tengono luogo della fava baggiana, ossia d'orto». Nelle pasticcerie di Trieste, ad esempio, sono immancabili nel periodo autunnale le cosiddette fave (o favette) dei morti, dolcetti colorati di bianco, rosa e marrone, a simboleggiare rispettivamente nascita, vita e morte. Mandorle, albumi, zucchero i componenti principali di questa specialità, ma ogni locale ha la sua ricetta storica. Le fave, insieme a presnitz, pinsa e putizza, sono tutelate da un disciplinare e dal marchio dei dolci tipici triestini, introdotto nel 2016 dalla Camera di Commercio locale per dare continuità alle antiche ricette.
Le fave e i dolci di una storica pasticceria triestina
Il documento più antico in cui si attesta l'esistenza delle fave è negli archivi della Pasticceria Pirona e racconta di una fornitura di fave al Castello di Miramare nel 1861. In Largo Barriera Vecchia, al civico 12, oggi, come nel 1900, le vetrine dell'insegna ingolosiscono i passanti con i dolci autunnali della tradizione, ritornati ai vecchi fasti grazie alla nuova gestione capeggiata da Cinzia Viezzoli, nel settore del pane da generazioni, che ha preso in mano lo storico locale nel 2019 (e gestisce altri locali in città, come quello, da poco rinnovato, in via della Cassa di Risparmio 7). Qui le fave bianche sono all'essenza di vaniglia, quelle rosa all'acqua di rose e quelle marroni al cacao.
Insegna storica per eccellenza del capoluogo giuliano (parte del patrimonio FAI), è tappa imperdibile per chi visita la città e punto di riferimento per i triestini. Immersa nel via vai di Largo Barriera, quasi ferma il tempo con il suo stile liberty e il suo verde antico (sebbene il locale sia sempre accuratamente rinnovato), tanto che non stupirebbe ritrovarsi accanto James Joyce, che tra questi tavoli scrisse l'Ulisse. La pasticceria della tradizione è qui espressa ai massimi livelli - presnitz tra i migliori in città - così come i grandi classici, personalizzati con sapienza, dell'arte pasticcera italiana, francese e austroungarica.