Abbiamo intervistato Giovanni Battista Maestri, padre del bambino di Coredo in Trentino, affetto da sindrome emolitico-uremica (SEU) dopo aver mangiato un formaggio a latte crudo. Un caso che ha sollevato un polverone, ma che ora è caduto nel silenzio.
La telefonata inizia con una fucilata, «I prodotti a latte crudo, per i bambini, sono veleno».
La lunga agonia della famiglia Maestri inizia nella primavera del 2017, quando il loro bambino di 4 anni, la cui identità rimane anonima su richiesta dei familiari, ha contratto la sindrome emolitico-uremica (SEU). Sette anni dopo quel fatidico pasto, a seguito di una lunga battaglia legale e tanto coraggio, Maestri acconsente di parlarci dell'accaduto.
La Sindrome Emolitico-Uremica è un'infezione batterica che mette a rischio la funzionalità di vari organi, in particolare i reni. È una patologia rara, come è stato contagiato suo figlio?
«Colpa di un formaggio a latte crudo, cioè prodotto con latte non pastorizzato. Il latte era infetto da ceppi di batteri Escherichia coli produttori di una potente tossina detta Shiga-tossina. Il latte crudo uccide i bambini. Non datelo ai vostri figli. Il mio bambino è in stato vegetativo permanente da quando aveva 4 anni. Una tortura che dura da sette anni».
"Quel formaggio è veleno per i bambini"
Era un formaggio particolare?
«Ho acquistato un pezzo di formaggio "Due Laghi", era pubblicizzato come "ideale per la merenda dei bambini" non sapevo fosse a latte crudo. Anche sapendolo non mi sarei posto il problema. Non conoscevo la pericolosità per i bambini dei prodotti a latte crudo. Sono stato io a darlo da mangiare a mio figlio. Due giorni dopo il bambino ha iniziato ad accusare crampi alla pancia. Allora lo abbiamo portato al pronto soccorso di Trento e lì è andato in coma. Sospetta sindrome emolitico-uremica. Allora lo abbiamo trasferito d'urgenza a Padova e ricoverato in terapia intensiva, dove è stata confermata la diagnosi. Sono passati mesi. A questo punto nessuno di noi aveva ancora fatto il collegamento con il formaggio».
Qual è stato il passo seguente?
«Ci siamo dovuti trasferire a Conegliano Veneto, per ricoverare il bambino in un centro riabilitativo. A quell'epoca io e mia moglie avevamo ancora la speranza che nostro figlio si sarebbe ripreso. Poi, man mano che passava il tempo, ho capito che invece quel posto lì era il luogo dove ci avrebbero insegnato, a noi genitori, a gestire la nostra nuova realtà. Riabilitavano noi, non lui. Siamo stati a Conegliano per un anno, spostando tutta la nostra vita lì per stare con nostro figlio. Durante questo tempo, ricordo che era l'8 dicembre, mi è stato segnalato un articolo che descriveva i fatti avvenuti nel mio paesino, e ho capito che il bambino "in gravissime condizioni di salute a causa di un formaggio a latte crudo" era mio figlio».
Quando avete deciso di portarlo a casa?
«Nell'agosto 2018 siamo tornati a casa. Ci è stato offerto di lasciarlo in una struttura permanente di hospice. Ma abbiamo preferito riportarlo nei suoi spazi, nella sua cameretta. Nostro figlio è accudito da mia moglie, che si è licenziata dal lavoro per occuparsi di lui in tutto e per tutto. Il mio bambino di appena 4 anni aveva tutta una vita davanti, aveva un futuro. Che adesso è perso. Ha da poco compiuto undici anni, in stato neuro-vegetativo da sette. È durissima. Mia moglie ha una forza che in me vacilla a volte».
Com'è la giornata di vostro figlio, oggi?
«Il mio bambino è alimentato artificialmente con la Gastrostomia Endoscopica Percutanea, una procedura che collega lo stomaco e l'esterno tramite una cannula che attraversa la parete gastrica e quella addominale. Così gli diamo l'alimento e i nutrienti di cui ha bisogno. È uscito dal coma ma non ci riconosce. La disabilità è totale. Non parla. Ha trenta crisi epilettiche al giorno. Mi creda, è una cosa indescrivibile vedere la sua sofferenza e non poter fare niente».
La vostra famiglia dimostra un coraggio enorme. Come trovate la forza di andare avanti?
«Abbiamo una bambina più piccola. Sa cosa vuol dire sentirsi dire, "Papà, fai guarire mio fratello?" Una pugnalata nel cuore. Non potrò mai farlo guarire. Io mi batto per rendere nota la vicenda, e la rabbia è infinita, un dolore che annebbia la mente. La delusione più grande è che con tutto quello che faccio, ancora non sono riuscito a impedire che cose come questa accadano ad altri bambini».
"Abbiamo l'obbligo di fare informazione"
Cosa si sente di dire ai genitori dei bambini che stanno lottando con la SEU?
«Chiedo a chi si trova nella nostra stessa situazione, con figli che soffrono di SEU, di aiutarmi a diffondere la pericolosità dei prodotti a latte crudo. Facciamo informazione, campagne di sensibilizzazione, diciamolo a tutti: al parco giochi, nei mercati, all'asilo. Coinvolgiamo i pediatri. I prodotti a latte crudo, non mi stancherò mai di dirlo, per i bambini, sono veleno».