La bolla del Gin è scoppiata: ora si beve Tequila e Paloma

18 Feb 2025, 11:53 | a cura di
Massimo D’Addezio: “Esplode la bolla del gin, vincono Tequila e Paloma. Largo ad amaro e umami in mixology”

Il Gin è in netto calo, Tequila (e Mezcal) su. È questa in estrema sintesi l’analisi di Massimo D’Addezio, barman di alto rango al Chorus di Roma e talent di Gambero Rosso TV: un algoritmo che definisce quanto da un po’ stiamo riscontrando anche dal punto di osservazione del Gambero. Titolammo, qualche tempo fa (sul numero 380 di settembre 2023): La fine del Gin Tonic. Era una sorta di provocazione per parlare del dilagare di decine, centinaia di etichette di Gin made in Italy: non c’era provincia, zona, distilleria, cantina che non facesse il “suo” gin. Alcuni anche discreti, molti approssimativi. Di fatto, di fronte alla domanda del barista: “quale gin desidera”, un qualsiasi cliente “normale” si troverebbe in difficoltà a formulare una scelta sensata.

Esplode la moda di Tequila e di Paloma

E ora, argomenta D’Addezio, la bolla del gin si sta sgonfiando lasciando il campo agli spirit messicani, bevuti sia assoluti che all’interno di drink classici o innovativi che siano. «Prima tra tutte, è esplosa la moda del Paloma. Accanto a quella degli highball», afferma il barman romano. Vediamo così insieme a lui cosa è successo e cosa succederà nel prossimo futuro…

Intervista a D'Addezio: è la fine della bolla del Gin  

Sembrava non poter finire mai, la Gin-mania. Ma cosa è successo? «Le mie riflessioni - spiega il barman Massimo D'Addezio - nascono sulla base del contatto quotidiano con i fornitori, i distributori e i clienti, oltre che dalla lettura di riviste internazionale. Abbiamo vissuto l’epoca della Gin Craze (dal nomignolo della grande sbornia inglese, nel 1600, quando la produzione di Gin aumentò del 400%: il modo in cui King William cercò di finanziare la guerra con la Francia, ndr): tutti pazzi per il gin, i distillatori di grappa non potevano non avere i loro gin. Sembrava davvero la gallina dalle uova d’oro. A un certo punto, però, il numero di questi gin prodotti in Italia è diventato davvero eccessivo, tanto che le aziende non trovano i distributori in grado di diffonderli sul territorio. Così, probabilmente la bolla esploderà a breve e rimarranno solo i grandi marchi più storici che riusciranno a garantire produzione e diffusione.

Cosa dicono e come si orientano i clienti?
Oggi il “cliente medio” si divide in due categorie: chi beve l’Aperol Spritz e chi beve il Gin Tonic. Sono questi i due maggiori filoni del gusto del momento. Diversi consumatori di Spritz si stanno cinvertendo al gin tonic. Una cosa è certa: è finita l’era del Moscow Mule, che ha cominciato a vedere il declino tra il 2022 e il 2023…

Chi ha preso il posto del Moscow Mule?
Ecco: ha fatto capolino e poi ha cominciato a correre il Paloma. È il modo di bere il Margherita nella regione messicana di Jalisco. È una sorta di Margarita senza il Triple Sec: è a base di Tequila, sciroppo di agave e lime con aggiunta di soda al pompelmo in un bicchiere bordato di sale e riempito di ghiaccio.

E perché questo cambio di tendenza?
Il Tequila sta prendendo piede perché è il modo di bere un distillato in qualche modo vicino all’amaricante e al sapido, che ha in sé molto umami: tendenze che si sono già innescate e fanno strada.

Da cosa deriva questo modo di bere?
Sta cambiando il nostro mondo, quello della mixology e dei bevitori come lo abbiamo conosciuto finora. Io ho avuto clienti che son venuti al bar fino alla morte, a bere e fumare. Il bar era un po’ il luogo di un certo tipo di modo di vivere e di socializzare.

Quindi? Come si beve oggi?
La situazione è cambiata e sta cambiando. Si beve diversamente: i ragazzi bevono meno e più leggero... Si va alla ricerca degli Highball: tutti quei cocktail che – tipo gin tonic – sono a base di un distillato accompagnato e molto diluito da una soda. Le persone hanno oggi un rapporto diverso, rispetto a qualche anno fa, con l’alcol.

Addio alle classiche bevute d’un tempo?
Personalmente, sono un fautore della cultura dell’alcol: è un alimento che va dosato a seconda delle capacità individuali. Ma ora è cambiato proprio il modo di concepire l’approccio. Prima i nostri padri, i nostri nonni, vivevano l’alcol sia come svago ma anche come elemento legato all’alimentazione: spesso il vino era quasi un pasto. Oggi che siamo tutti satolli e che la generazione che prima beveva come se non ci dovesse essere un domani è affogata nel reflusso esofageo, i giovani hanno elaborato un modo di bere diverso e più leggero. Poi, ci sono i controlli anti-alcol sulle strade. Insomma, stiamo vivendo tutta una serie di cambiamenti che segnano un diverso modo di avvicinarsi al bere conviviale.

Ovvero? Qual è questo nuovo approccio?
Siamo all’alba di una nuova era: i giovani concepiscono diversamente il ruolo dell’alcol. Per esempio, se io a Chorus ancora faccio il drink al momento, oggi tantissimi barman servono i drink alla spina o in pre-batch: non c’è nulla di male, è una metodologia, è il sistema per servire molti più clienti contemporaneamente e in tempi veloci. Un po’ come quando in Usa esplose il Flair e i barman si tiravano le bottiglie: si velocizzava il servizio. E si dava vita a una diversa scenografia.

E qual è il ruolo del barman, oggi, in questo nuovo scenario?
Oggi, scegli un cocktail da una lista, il barman te lo versa su uno splendido cubo di ghiaccio in un bicchiere fantastico e da una bottiglia già pronta. Una volta si veniva al bar per parlare con il barman, oggi il cliente spesso se ne sta al tavolo a giocare o interagire col telefonino.

Mi sta dicendo che muore il bar?
Stiamo vivendo il frazionamento di quello che comincia a essere e che sarà l’approccio al bar: da una parte ancora classico, dall’altra invece nuovo. Una parte di clienti vorranno a tutti i costi l’esperienza tradizionale mentre un’altra parte cercherà un’esperienza del tutto differente. L’alcol per noi era un momento di svago e di esagerazione. Oggi l’esagerazione – al netto dei vari squilibri individuali – normalmente si è trasformata in raziocinio: si beve ragionando e calcolando con la testa situazioni, calorie, salute e tempi.

Citavamo gli highball: in Giappone li troviamo ovunque. Lì normalmente si beve wisky e soda, sotchu e soda con o senza lime… anche da noi?
Ormai gli highball stanno andando alla grande. Anche il “famigerato” Limocello Spritz è andato in lattina (ne abbiamo parlato lo scorso ottobre, ndr). Così come i gin tonic e gli altri spritz. C’è da dire, però, che nelle esperienze che ho avuto fuori dai bar di lusso, gli italiani generalmente non accettano il gin tonic in lattina. Gli stranieri, invece, sono molto più propensi a questo genere di drink.

Siamo più conservatori?
In Italia, se dobbiamo aprire una grande bottiglia, ci mettiamo i gioielli della prima comunione, andiamo nello stellato di turno e spendiamo 400 euro in cibo senza batter ciglio. In America, se devi aprire un Amarone di Dal Forno o un grande Brunello – giusto per fare due esempi classici – si va tranquillamente in un luogo senza tener conto dell’importanza del cibo. Ho servito etichette strepitose anche durante riunioni di lavoro. Gli italiani sono molto più attenti nella spesa per l’alcol: è vissuto ancora come un elemento peccaminoso e dunque si circonda di ritualità particolari.

In Italia, quindi, si beve meno che nel resto del mondo?
Direi proprio di sì: molto meno. Inoltre, fatto 100 il consumo di distillati, il 70% è grappa ed è relativo soprattutto al Nord. Il resto è solo il 30%. Però ci sono etichette importanti anche non italiane che puntano a stare sul nostro mercato anche se non è rilevante dal punto di vista economico: questo perché abbiamo la reputazione di riuscire a stabilire cosa sia buono e cosa no. A livello mondiale, tutto ciò che va in Italia è buono. Quando dici Italia, dici buono: questo è il pensiero comune a livello internazionale. E chi sta sul mercato italiano, nell’immaginario collettivo produce cose buone.

Ancora highball: questa tendenza ha avuto altre ricadute sul mondo dei cocktail?
Beh, in questo senso è un segno dei tempi anche il ritorno alle origini dell’Americano: può infatti essere considerato come un long drink e non un medium. È corretto, quindi, immaginarselo in un bicchiere grande, tipo highball: con più soda e ghiaccio, più fresco e leggero. È una tendenza che non snatura la ricetta, ma la attualizza: diverse ricerche hanno trovato abitudini di bevuta del passato molto più lunghe rispetto alle aspettative di un drink che ormai si serve in un bicchiere più contenuto. In costante crescita, poi, sono i cocktail legati al whisky, che siano Scotch, Bourbon o Rye. In particolare, come dicevamo, il mercato del whisky giapponese è in crescita esponenziale: tendenza legata alla riscoperta dell’umami e della sapidità legate al whisky.

Torniamo al tequila…
Il suo mercato da circa 15-20 anni è un mercato in costante crescita, lenta ma costante: questo da quando in Messico hanno cominciato a togliere dalla denominazione ciò che non era qualitativamente all’altezza. E oggi il Paloma è una sorta di stratagemma per spingere il Tequila: è un highball che ha umami, sapidità, acidità ed è amaricante…

Finora eravamo abituati al fatto che nel mondo si preferisse il dolce all’amaro… Sta cambiando lo scenario del gusto?
Beh, non è un caso che da un paio di anni siano usciti gin con alghe o acqua di mare: tutti ingredienti che richiamano umami e salinità. Pensiamo ad Aperol, liquore che vende – a spanne – dai 25 ai 30 milioni di bottiglie: è arricchito di zuccheri, ma è comunque un bitter e ha una base amaricante decisa: direi quindi che il dolce sì, ma fino a un certo punto…

Altre vittime sulla strada dell’amaricante?
Basta pensare alla fine del Rum: è indubbiamente legata alla fine del dolce. Oggi il Rum non tira più: se ne vende una bottiglia ogni 300 di Gin. È una stima basata sull’esperienza e non su dati certi. Ma non c’è dubbio che sia finita l’era del dolce: oggi si beve con tendenza all’amaricante. Prendiamo il mondo dei bitter: fino a 20 anni fa ce n’erano due-tre etichette. Oggi ne trovi un sacco di versioni diverse, almeno una quindicina tra le più utilizzate. E parliamo solo di bitter. Anche amari sono ormai una marea e si usano non solo come dopo pasto, ma pure per finire un drink. Oggi il trend è l’amaricante. Tanto che qualche tempo fa chiesi ai titolare dell’azienda che produce Amaro Lucano perché avessero come sponsor uno chef come Barbieri e non un barman, visto che gli amari hanno una grande diffusione in mixology.

E cosa risposero?
Nulla! Ma a conferma delle mie convinzioni, è un fatto che Amaro Lucano, insieme ai vermouth del Gruppo Mancino, siano distribuiti da Coca Cola: se non fosse una tendenza mondiale assodata, non credo che Cosa Cola avrebbe reso in carico l’Amaro Lucano. Certo, si tratta di amari carichi di zuccheri, ma senza dubbio si tratta di evidenze che confermano la tendenza.

Altre vittime eccellenti?
Il Cognac, per esempio, non riesce a uscire dalla stagnazione in cui si trova da oltre dieci anni… Nel nostro mondo lo segnaliamo ormai come morto: non riesce a riprendersi la sua vita, ad affermare una sua identità. Questo perché probabilmente non è molto conosciuto a livello doffuso, non è stato ben spiegato e costa molto… Negli ultimi anni è cresciuto tantissimo il Bourbon, ma il Cognac no: anche se sono entrambi distillati da meditazione, hanno invecchiamenti di 5 anni… Il Bourbon ha tirato fuori numeri eccezionali, il Cognac no. E con Cognac ricomprendo anche brandy e altri distillati di vino, che siano francesi o spagnoli o italiani…

Non ci sono eccezioni al diktat amaricante?
Mi viene in mente il Pisco: distillato peruviano di uva. Recentemente gli storici della mixology hanno individuato i carteggi in base al quale risulta che il primo Paese in cui è stato prodotto è stato il Perù e non il Cile: le due nazioni sono state per anni e anni in guerra sulla paternità di questo liquore. Negli scorsi anni il Pisco aveva cominciato ad avere una buona affermazione sui mercati, trainato anche dal boom della cucina peruviana. Però ha un mercato che cresce molto molto lentamente. Magari potrebbe scippare il primato al Tequila, tra una ventina di anni, ma anche il Pisco tende al dolce e alla fine, in un mondo che tende invece all’amaro, trova un percorso più difficile.

Tequila e Mezcal: entrambi distillati da agave. Funzionano entrambi?
Certo, sulla scia del Tequila, cresce anche il Mezcal: sempre agave, ma in una zona diversa da Jalisco. Nel sud del Messico l’agave è spesso selvatico e ha una crescita del tutto diversa, coltivata con sistemi agronomici più vicini alle colture selvatiche in zone impervie e difficili. Zone in cui la produzione di Mezcal è anche un elemento importante nell’economia della zona. Il Tequila è una realtà ornai a livello industriale, mentre il Mezcal ha una identità molto più artigianale.

Possiamo dire dunque che il 2025 sarà l’anno del Tequila?
Nel 2025 cade il 60° anniversario del Tommy’s Margarita, drink storico nato in una taverna messicana di San Francisco a base di succo di lime messicano, sciroppo di agave in proporzione 1:1 e tequila di altissima qualità. Oltre al Paloma, anche Tommy’s è uno dei cocktail che va alla grande e pur avendo 60 anni è ancora molto attuale e gode di ottima salute… Tanto che il figlio di Tommy, Julio, gira il mondo portando il verbo del liquore di agave messicano.

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