"La tradizione? Una grande fregatura: è la negazione della cultura". Intervista al pasticcere Corrado Assenza

13 Lug 2024, 12:21 | a cura di
Il pasticcere siciliano e grande visionario racconta la sua idea di futuro: dinamismo e valorizzazione del territorio e della comunità in cui si vive. E racconta la sua vicinanza con un altro visionario, Josko Gravner

Qual è il comfort food di Corrado Assenza? «Pane e formaggio. Adoro tutti i formaggi. Dalla cagliata di pecorino appena fatta, senza sale, alla ricotta e fino ai super stagionati». E il vino preferito? «Quelli di Josko Gravner: condivido con lui una visione. sarà per questo, forse, che i miei dolci stanno benissimo con i suoi vini». Parliamo di vini dolci? «Ma no, assolutamente no! Qualche tempo fa, a casa sua, feci un dolce al bicchiere per la festa di fine vendemmia: gli ingredienti erano la sua uva e il suo vino. Mi portò quattro grappoli appena raccolti che erano già loro stessi il dolce». Corrado Assenza, il menestrello della nuova pasticceria siciliana, entra nel suo laboratorio, sul retro di Caffè Sicilia a Noto. Lo ricordavamo avvolto nella penombra e profumato di spezie e frutta. «Ora c’è tanta luce, invece. Perché il lavoro ha bisogno di luce. Abbiamo rifatto tutto quattro anni fa: era la fine della grande chiusura dopo il Covid. Ma noi non abbiamo riaperto e da gennaio a maggio abbiamo rifatto tutto dopo un secolo di non interventi». Prima sembrava di entrare nell’antro di un alchimista… «Beh, credo che sia ancora così, anche se c’è luminosità. Le mura hanno sempre lo stesso profumo di spezie, di frutta, di miele…» 

L'intervista a Corrado Assenza è disponibile sul mensile Gambero Rosso di luglio in edicola

Assenza e "il tè della terra"

Corrado Assenza è un visionario, un artigiano mosso da una precisa idea del futuro pure per il suo lavoro. Ma la pasticceria, dunque, è più tecnica o più pensiero? «Guai se non ci fossero visione e obiettivo. La tecnica ti serve, ma per raggiungere un risultato. E quello è la visione, il pensiero, la cultura…». E cosa ha questa visione in comune con quella di Gravner? Anche la pasticceria utilizza macerazioni e fermentazioni? «Una volta, lui mi disse che il suo vino era il tè della terra. Metti la terra in infusione, aspetti tanto tempo e alla fine bevi il sapore della terra. Lui ci arriva dopo un lungo percorso di fermentazioni e dunque di trasformazioni profonde di ciò che la natura ci offre. Io invece ho lavorato e lavoro soprattutto per conservare la freschezza. Il nostro candito serve per spostare la dolcezza del frutto nel tempo e nello spazio. Josko impiega tanto tempo, io faccio prima. Ma vogliamo entrambi cogliere il sapore della terra. Ecco perché i nostri prodotti si sposano naturalmente bene, senza nessuna forzatura. Sono generati dalla stessa vena di pensiero…»

Caffè Sicilia, Noto: scorze di arancia candite - foto di Francesco Assenza

"La tradizione è la negazione della cultura"

Il “nuovo corso” della pasticceria di Caffè Sicilia nasce 35 anni fa. «Ero ventinovenne – racconta Corrado – E sì, fu allora che cambiò tutto». E perché mai? «Mi ero rotto le palle di perdere tempo con gli agenti di commercio che proponevano i semilavorati industriali. Dovevo perdere tempo a sentire sempre le stesse cose, a studiare le piccole differenze di prezzo che erano poi l’unico banco di discussione e valutazione… Poi c’erano le novità, i nuovi gusti. Quando ho capito però che si trattava sempre della stessa frittata rigirata, ho chiuso con quel mondo e ho cominciato a dedicare le stesse ore ad andare in campagna per cercare quello che la mia terra mi offriva: erbe aromatiche fichi, olive, capperi, frutta… E usavo il tempo per tirarne fuori il massimo del gusto. Abbiamo provato strumenti nuovi, abbiamo cercato di innovare». Non avete seguito la ricca tradizione della pasticceria siciliana? «Appunto: l’altra svolta è stata quando mi sono reso conto che la tradizione era una fregatura, dopo appena cinque anni. Riflettendo su cosa significasse la tradizione, mi sono accorto che quello che io in realtà cercavo di fare non era più tradizione, ma era cultura. E la tradizione è la negazione della cultura: perché ti racconta qualcosa fatto da tante persone per tanto tempo, ma nessuno tu dice quale sia stata la storia o i percorsi attraverso i quali la “tradizione” si è evoluta. È una scatola chiusa che non ti dà nessun elemento di conoscenza vera. Anzi, ti solleva dal dover pensare, è una sorta di comfort zone e ti dà un riferimento su cui puoi adagiarti comodamente, senza dover avere nessun pensiero. E a me non andava bene».

Lavorazione del torrone nel laboratorio di Corrado Assenza. Foto di Giuseppe Portuesi

"Siamo al centro di una comunità viva e vitale"

Quindi niente più dolci della tradizione a Caffè Sicilia? «Abbiamo cassate, cannoli, biscotti… Ma sono i nostri. La cassata ha mille anni di storia, ma se oggi mangiassimo quella cassata arcaica ci farebbe probabilmente orrore. La pasticceria deve stare nel presente, nella contemporaneità. Per me significa dare valore ai frutti della terra, esaltarne le potenzialità, la dolcezza naturale. Noi, qui a Noto, siamo al centro di una comunità fatta di agricoltori e artigiani e spesso ne siamo anche un punto di riferimento». Oggi tanti cuochi si concentrano sulla realizzazione di un orto tutto loro… «Noi il nostro lo stiamo tirando su, piano piano, ma ancora non c’è». Chissà se questa strada possa avere un futuro? Proprio oggi che la dimensione globale porta all’omologazione e ai grandi numeri…«Io credo che un futuro possa esserci per questa mia idea di pasticceria – riflette Assenza – la mia dimensione di operatore alimentare ha di fondo necessità di dinamismo, non piò essere statica. Ci dobbiamo adeguare al cambiamento generale che la società ci impone, ci suggerisce… La cassata è rimasta un dolce che ha ancora seguaci e profeti dopo mille anni perché è un dolce importante, una creazione ci grande spessore che è nato come dolce importante e che è sempre vissuto nelle diverse contemporaneità che ha attraversato. Per questo credo che il futuro della pasticceria sia nel non restare identica per garantire una tradizione, bensì evolvendo nel modo in cui solo la cultura permette per stare dentro alla contemporaneità».

L'economia globale e le chanche dei piccoli

Eppure, la contemporaneità è fatta in gran parte di industria… «Vero, ma la mia idea è la chiave del successo di Caffè Sicilia: tantissime persone arrivano da tutto il mondo perché sanno che ci sono cose del tutto diverse da quello che trovano altrove. E ci chiedono di continuare, di non mollare, perché nel mondo non ci sono altre realtà come questa». Alla fine, quindi, la globalità dà più chance anche al piccolo artigiano, alle piccole identità? «Finché ci sarà una benché minima consapevolezza di cosa fosse il mondo prima della globalizzazione, sì. Chi ha vissuto anche per poco quei tempi, può ritrovare qui emozioni che riconosce. Ma finché ci sarà qualcuno che abbia incontrato una realtà artigiana, allora queste emozioni si manterranno nel tempo. Finché ci saranno giovani che puntano a realizzare piccole realtà artigiane che perpetuano questa dimensione, allora lo spazio ci sarà…»

Caffè Sicilia: trancio di zafferano e arancia amara. Foto di Brian McGinn

La vicinanza tra pasticceria e cucina

La pasticceria oggi, specialmente quella di avanguardia, in realtà si avvicina molto alla cucina e viceversa, la cucina alla pasticceria. Dolce, salato, amaro e piccante si fondono spesso e si confondono tra loro. Questa è una strada per il futuro? «Io nasco pasticcere, ma la mia è una pasticceria differente che non ha confini precisi tra dolcezza e sapidità: in fondo si tratta di un confine culturale, non naturale: la natura non ha confini». Una considerazione che vale anche per il chilometro zero… «Io cerco di trovare quello che voglio vicino a casa mia, ma faccio anche molti molti chilometri per cercare quello che mi piace e voglio utilizzare. È un fatto di coerenza con la nostra natura umana, e anche con il mio lavoro. Io vendo i miei prodotti all’estero e allora perché dovrei limitarmi al mio piccolo mondo? Limitarsi è pericoloso. Dal chilometro zero al chiudere le frontiere, il passo è breve. E io non voglio chiudere le frontiere, perché sarebbe contrario al nostro essere uomini; e al tempo stesso non voglio confinarmici dentro una frontiera». Sarà possibile? Tutto sembra far pensare al contrario! «Non sono molto ottimista, ma vedo anche parecchi giovani artigiani che con piccole esperienze locali stanno cercando di allontanarsi dalla dimensione industriale. Mi auguro che ce ne siamo sempre di più. Si tratta di artigiani del cibo legati ad altri artigiani della terra che altrimenti rischierebbero di scomparire; tra questi anche diversi panificatori. Ma gli chef no: il mondo degli chef ha bisogno di numeri, di soldi, di fare finanza. Può esserci qualche cuoco, piccoli artigiani della cucina che non pensano ai grandi numeri. Non chef».

la cassatina siciliana secondo Assenza. Foto di Brian McGinn

"Visione estrema? No, solo umana"

Alla fine della chiacchierata, ci conquista una torta di nespole e fragole con crema di limone alla vaniglia e al rum. Un’esplosione, anzi tante esplosioni di sapore, gusto e profumi che si fondono in un’armonia fatta di freschezza: la tarda primavera nella rigogliosa Sicilia. Una terra che parla anche di caldo, così come racconta la dolcezza del rum jamaicano vecchio di 17 anni che dà nervo al tutto. Un dopo dessert insieme al dessert stesso. «È il mio modo di raccontare le emozioni che mi legano alla mia terra, ma anche alla mia idea del mondo. Un tocco caraibico ci pÈÈorta al mare e al caldo, alla brezza iodata e sapida. Perché il mondo non è solo quello a portata di piede. Non lo è mai stato, per l’essere umano». Eccola la visione. Estrema? Forse semplicemente umana.

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