Di lui avrete sentito parlare, magari senza saperlo, per quella creazione diventata una tendenza: il Crubik, croissant cubico che vale una lunga fila fuori dalla Farmacia Del Cambio di Torino. Forse unico caso in Italia di croissant da prenotare con largo anticipo, golosissimo e di grande effetto poi imitato qua e là per la Penisola.
Lo ha creato Maicol Vitellozzi: un passato da cuoco, nella cucina di Carlo Cracco a Milano ai tempi di Matteo Baronetto che l'ha portato con sé al Cambio, dove passa alla panificazione e alla pasticceria in ogni suo aspetto, quella da ristorazione, quella da negozio, senza dimenticare la confetteria. Torino gli dà tanto, e lui la ripaga con Grazie Torino, che è un omaggio a uno dei luoghi simbolo, la Mole, e a uno dei dolci tradizionali, il gianduiotto. Forme e sapori sono per lui complementari, ma il primo impatto è quello visivo: «per questo cerco di far capire subito al cliente cosa mangerà». A un certo punto lascia Torino, vuole approfondire il mondo dei lievitati, e passa 10 mesi con Vincenzo Tiri. È l'ultima esperienza «quella che ha chiuso il cerchio».
La pasticceria tradizionale
Il futuro però andrà in un'altra direzione: «è il momento di fare un passo indietro e riprendere la pasticceria tradizionale, quella che ricorda casa, più che quella contemporanea». Parliamo di torte di credenza, crostate, dessert classici e un po' démodé, per quell'aspetto semplice che sembra così distante dall'alta ristorazione, patria di dolci al piatto con architetture, colori, consistenze elaborate, preparati con stampi e glassse a specchio. Lui però ci scommette: «Un dolce da casa in un ristorante non è così diffuso ora, ma secondo a breve torneremo alle cose più semplici, all'apparenza meno raffinate ma buone: hanno più valore di queste cose luccicanti e tutte uguali». A convincerlo l'attuale evoluzione della bakery e una certa tendenza alla semplicità che comincia a diffondersi nei grandi ristoranti, soprattutto all'estero: «cose belle ma più pratiche, o magari più tradizionali con un'estetica interessante». Qualcosa su cui anche in Italia dovremmo lavorare di più, secondo lui: «abbiamo competenze, capacità, gusto. Potremmo fare di meglio, ma bisogna essere bravi a interpretare questi dolci in modo corretto e con eleganza».
Il valore del servizio
Vitellozzi ci aveva provato, quando era al Cambio: crostatine di frutta e crema pasticcera, tarte tatin, mille foglie e brioche semplicissime con gelato o crema. «Il difficile è trovare l'estetica giusta che possa stare al passo del ristorante gourmet, ma la differenza la fa il servizio. Negli ultimi due anni a Torino avevo espresso il desiderio di far servire al pasticcere il dessert. Così, anche se magari è meno bello, raccontato dal profondo acquisisce un altro valore, con la gestualità del servizio, il racconto di quel che c'è dietro, si sottolinea la bontà oltre che la bellezza». Altro impatto se il dolce arriva già sporzionato: «Potrebbe spiazzare. Ma se lo tagli al tavolo c'è il romanzo, e l'esperienza che vive il cliente è diversa».
Christian Marasca: manualità e identità
Conferma anche Christian Marasca. Il pastry chef di Zia di Roma – con cui Maicol Vitellozzi ha condiviso il palco del Food For Future Festival ad Alba – va in questa direzione: «Sin da quando abbiamo aperto abbiamo voluto dare un'impronta di classicità alla pasticceria, con l'idea di dolci da ricorrenza, magari in porzione singola, più che da dessert al piatto». Famoso in questo senso il suo Tourbillon. Negli anni hanno deciso di portare al tavolo anche dolci da sporzionare, da condividere, da mangiare con le mani come la brioche sfogliata da gustare facendo la scarpetta nella crema. Attualmente ci sono sempre tre dolci al piatto molto puliti ed essenziali, e due dolci da condivisione: «Volevo allontanarmi dal dolce al piatto, e ce la stiamo facendo».
Al momento c'è la tarte tropeziénne, brioche personalizzata da Marasca in forma di un fiore - «mi piace che l'identità sia data dalla manualità e non dall'uso di forme» - profumata con acqua di fiori di arancio e scorza di arancio e farcita con chantilly con mascarpone, zucchero e vaniglia. Arriva in tavola divisa in tanti petali che ogni ospite può prendere e mangiare con le mani «questa idea di far condividere tra i clienti ci rappresenta molto». C'è poi il flan alla vaniglia che viene tagliato al tavolo davanti ai clienti e poi servito al piatto, «c'è molta tecnica dietro, ma all'apparenza è un tipico dolce da taglio».
Indagine sui dolci da taglio
Qualche esperienza di torno al classico qui e là in effetti già c'è: la torta di rose da Lido 84, o la tarte tatin di Norbert Niederkofler, ma forse l'esempio più clamoroso è il carrello dei dolci de Les Ambassadeurs dell'Hotel Metropole di Monte Carlo, regno un tempo di Joel Robuchon riaperto questa estate con lo storico chef Christophe Cussac: oltre 15 proposte di dessert, in gran parte frolle farcite in modo diverso – da non perdere quella alla cannella – e poi mousse, babà e altri dessert da sporzionare (foto in apertura). Un trionfo di dolci da casa elegantissimo e imperdibile, che segna un punto in questa direzione in continuità: la tarte Robuchon è stata un’istituzione tra le crostate al cioccolato.
L'idea che si possa approcciare in modo nuovo alle crostate arriva dagli Usa, dove Grant Achatz di Alinea, famoso – è vero - per il suo Table Dessert, ha servito la sorprendente Crystal Clear Pumpkin Pie, che conferma come anche l'alta ristorazione guardi a questi dolci cercando il modo di ripensarli, come ha fatto furbescamente anche Massimo Bottura con Oops! Mi è caduta la crostata al limone.