Progettato nel 2018, scritto in inglese e fotografato (da Alberto Blasetti) nel 2019, The New Cucina Italiana arriva finalmente in libreria il 2 marzo 2021, circa 6 mesi dopo il previsto. “In fondo preferisco pensare che esca con Biden presidente” dice Laura Lazzaroni. Il suo nuovo libro - non certo un instant book, ma un volume meditato, candidato a diventare un long seller - è nato per il mercato internazionale, a partire da quello a stelle e strisce “e mi piace l'idea che vada in un'America che ha voltato pagina” pronta ad assorbire, senza preconcetti, questa nuova Italia che racconta.
The New Cucina Italiana. Il libro di Laura Lazzaroni
Il volume nasce dall'idea, ambiziosa, di far conoscere al mondo cosa sta succedendo - davvero - nella ristorazione italiana di oggi. Di liberare la nostra immagine dai cliché, e dal sistema binario trattoria\alta cucina. Del ristorantone e della tovaglia a quadretti. “In mezzo c'è un mondo” che mescola i codici, si muove con direzioni, ritmi, stili e visioni diversi. Ed è ancora sconosciuto “perché l'Italia è oscurata dalla sua fama”. La Lazzaroni lo illumina con pennellate precise, coccolando il sogno “presuntuoso, forse”, che alfine scaturisca un movimento come quello della nuova cucina nordica, che riecheggia nel titolo.
Non di sole nonne
Il libro è anche l'occasione per sgomberare il campo dall'immaginario abusato (ma rassicurante) della cucina delle nonne. Come se ogni nonna cucinasse bene. Come se quel che facevano loro in cucina fosse giusto per principio. “La verità è che molti dei giovani di oggi hanno nonne giovani, e tante cucinano aprendo le scatolette”. Dunque sfatiamo il mito delle nonne, quelle che certi young chef si propongono di far fuori. Freudianamente, si intende. "Kill the nonne" è il grido di battaglia, uno dei tanti di questa ondata di cuochi che dal passato si sanno emancipare con talento e ironia. Trovando nuovi maestri e nuovi strade da percorrere. Laura ne intercetta 6.
I 6 capitoli
In ogni capitolo una manciata di chef, 24 in totale, raccontati con parole, ricette, fotografie. Comincia con i mentori: Romito e Lopriore, che hanno costruito un loro, personalissimo, linguaggio; poi seguono gli altri: pizzaioli, cuochi agricoli e foragers, osti di nuova generazione, chef legati a un nuovo fine dining o all'evoluzione di quel ristorante borghese così impresso nella nostra memoria collettiva, quello del pranzo della domenica, per intenderci. Di cui, per esempio, scorge le tracce in un posto come daGorini quando - pur nei codici da ristorante gastronomico – l'allegro passaggio tra i tavoli del figlioletto ne ricrea l'atmosfera.
Definire delle categorie – nell'accezione filosofica, di strumento che dà oggettività alla conoscenza – dare etichette, organizzare tematiche, tracciare connessioni, perimetri, e poi intercettare direzioni e sviluppi futuri: il libro parte da qui. E questo gli consente di arrivare a tutti. “Un lavoro che mi ha permesso di ragionare su quali siano le modalità di questa nuova cucina italiana”, che è una cucina di ingrediente ma anche di format: “mi ha divertito creare dei macrogruppi, sapendo che avrebbero potuto essercene altri, e che certi ristoranti potevano stare un po' in uno e un po' in un altro”.
Quale è The New cucina italiana?
“È ancora una cucina di conforto. Ma soprattutto” sancisce “di gusto”. Il gusto è la stella polare, il pilastro “è quel che rimane della tradizione, qualsiasi sia il rapporto che si ha con essa. Rimane un codice di sapori essenziale italiano”. Come raggiungerlo, è il campo di gioco di ognuno. “Oggi la cucina racconta una storia più profonda”, dietro c'è ricerca e complessità, l'apporto tecnico e la conoscenza necessari per controllare le cotture, gestire le proteine o abbassare il livello di grassi, ma senza mai compromettere il gusto. Qualcosa che potrebbe rimanere segreto, ma emerge se scrivi la ricetta, e la racconti un po': così ogni testo è lo spazio per mettere a fuoco il lavoro, la ricerca, le riflessioni, “puoi raccontare i produttori che popolano la cucina di Gorini, quegli accordi di gusto ancestrali cui si rifà per l'agnello, o il discorso sui vegetali invernali di recupero per il brodo dei passatelli”. Oppure il rancido, quel timbro che unisce Caranchini e i Bros' e che entrambi pescano da un patrimonio gastronomico popolare. Il risultato è un linguaggio nuovo ma familiare, che va avanti senza ripudiare nulla, dove emerge la voglia di costruire “anche nei più punk”.
Un termine, però, torna spesso: territoriale, che qualcuno declina nei confini della regione, e qualcun altro in quelli, più minuti, di province, comuni o singoli borghi. Ma tutti lo affrontano con piglio contemporaneo, senza lasciarsi imbrigliare, perché ha a che vedere con la cultura, la natura, le radici, lo spirito. Non per forza con la tradizione.
The New cucina italiana. I Cuochi
Sono creativi, appassionati, molti si sono formati insieme, tutti sono teste pensati, gente che ha voglia di divertirsi, fare gruppo, prova ne siano eventi dalla forte vocazione indie, come Scamporella o Fuoco. Una spinta alla collettività assente in altre generazioni, “raccontarli e fare uscire le cose che li legano è un altro dei motivi per cui ho voluto scrivere il libro”.
I Ristoranti
“Ho evitato posti che avessero aperto da meno di un anno”, niente meteore o fenomeni passeggeri, non perché poco interessanti, ma perché avrebbero rappresentato un'incognita troppo grande in un progetto a medio-lungo respiro. “La ristorazione è un flusso, non si blocca”, i locali possono chiudere, cambiare, i cuochi andare via, senza contare le possibili conseguenze della pandemia. Serviva prudenza, e nonostante tutto non sono mancati colpi di scena: come la chiusura del Punto e la nascita dello chef's table agricolo Fuoco e Materia di Damiano Donati, nell'estate 2020, giusto in tempo per correggere tutto. Come è stato eliminato, in extremis, il capitolo già pronto - scritto e fotografato - su Undicesimo Vineria, previsto come pure lo erano Aga e Fud off.
L'anomalia Mazzo
Poi c'è l'anomalia di Mazzo, chiuso da oltre due anni. “Abbiamo voluto raccontare Francesca Barreca e Marco Baccanelli a casa loro perché avevano già un'idea molto chiara del dopo Mazzo, e perché in quel periodo erano in tour per il mondo con il loro pop up”. Cosa che illumina un fenomeno interessante, quello di certe tavole italiane in dialogo con altre consorelle internazionali. La presenza di una rete di cuochi e ristoratori unita da una comune sensibilità, una vocazione al buono fatto bene, alla ricerca – della materia prima ma anche di un linguaggio - a un artigianato artistico che non rivaleggia con l'arte, semmai ragiona di agricoltura e sottocultura. Che sulle relazioni fonda una famiglia allargata di colleghi e amici e cerca nuove traiettorie. Rispettosa ma autonoma.
Le ricette e le foto di Alberto Blasetti
“Le ricette non sono facilissime - penso agli gnocchi di rapa rossa di Antonia Klugmann – con Laurel Evans le abbiamo testate e riadattate per le cucine domestiche americane, ci siamo fatti persino inviare le farine dagli Stati Uniti”. Nonostante questo, però, le foto ritraggono l'impiattamento del ristorante, “perché è un elemento di comprensione”, e inseguono un messaggio quanto più possibile autentico: “non abbiamo voluto un food stylist”. Nulla di troppo carino, luci troppo morbide o atmosfere super domestiche, piuttosto si cercano contesti nudi, si insegue la luce naturale per ritratti e foto di ambientazione, per restituire la sensazione di un momento vero. L'anima - dei luoghi, dei piatti, dei cuochi - è fulcro di tutto. A guidare le danze dell'immaginario visivo, Alberto Blasetti, “lui non accompagna ma partecipa, perché ha una sensibilità gastronomica straordinaria che si riflette nelle foto”. Ecco allora l'immagine di Diego Rossi che ti fulmina con lo sguardo, Riccardo Camanini che si allaccia la giacca allo specchio “con quella sua espressione concentrata, quasi sacerdotale” oppure Lopriore che umilmente è al fianco dei suoi ragazzi, mentre dietro di lui un gruppo prende l'aperitivo e lui gli lascia qualcosa da spiluccare.
Making off. Del fare libri all'estero
“Fare libri è un mestiere complesso” dice Laura. E la riflessione emerge con forza dopo questa esperienza internazionale: “non ho mai avuto un flusso così serio e completo di controllo dei pezzi, uno scambio così fitto di pensieri”, una progettualità così elaborata. Tempi, mezzi, energie perché l'idea potesse maturare e prendere forma. E poi c'è l'approccio di una persona che conosce a fondo il mondo della ristorazione italiana e quello americano: “sento questa missione di fare da ponte e far scoprire la cucina italiana che conosco e che amo io agli americani”. E lo fa con lo stile che le è proprio, mescolando saggio, romanzo, memoir, suggestioni, ritratti minuti e sguardi aperti per costruire una nuova narrazione, anche lei molto autentica, intorno a questa cucina, ricca di nomi e personaggi ancora troppo sconosciuti (anche in Italia). 24 ristoranti bastano? “Ci sono almeno 10-15 ristoranti di cui mi piacerebbe parlare, trovando magari nuove categorie”. Qualcuno, all'estero, il libro lo ha potuto sbirciare in anteprima: addetti ai lavori, soprattutto. Reazioni? “Quella che speravo” risponde: “di sorpresa”.
The new cucina italiana - What to Eat, What to Cook & Who to Know in Italian Cuisine Today - Laura Lazzaroni – Fotografie Alberto Blasetti – Rizzoli New York - – 256 pp. - 40$/30£
a cura di Antonella De Santis