Grandi trattorie, pizzette rosse iconiche e grotte di formaggi. La guida gastronomica alle vie di Testaccio

22 Mar 2025, 09:11 | a cura di
Uno dei cuori della città eterna, Testaccio, è un quartiere dalla forte connotazione popolare, da sempre popolato di ristoranti e trattorie

La Piramide Cestia segna uno dei vertici di Testaccio, in cui convergono via Marmorata e via del Campo Boario, con il fazzoletto verde del Cimitero Acattolico (che da solo vale una visita, insieme a vicino Cimitero del Commonwealth), ideali confini del quartiere capitolino che lambisce l'Ostiense girando intorno all'area del vecchio mattatoio per poi seguire quel tratto di lungotevere che ne riprende il nome, e proseguire poi fino a pizza dell'Emporio, dove comincia via Marmorata. Sono 66 ettari quadrati - non tantissimi - ma che hanno un posto centrale nella vita della città, rappresentandone uno l'anima più verace, per molti il cuore di Roma.

Testaccio nell'Antica Roma

Da sempre è stata una zona legata al commercio, perché qui, nell'antica Roma, c'era il porto fluviale in cui attraccavano le chiatte che trasportavano le merci: quello del Foro Boario, prima, e quello dell'Emporium successivamente. Da sempre zona di commercio, del marmo (che spiega il nome di via Marmorata) e di generi alimentari che hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del quartiere: il monte che lo caratterizza (in realtà una collinetta alta una cinquantina di metri), altro non è che il risultato dell'ordinato accatastamento di frammenti di anfore romane, usate per trasportare grano, olio, vino. Pare siano oltre 50 milioni di anfore, o meglio di cocci, che in latino si diceva testae. Questo spiega sia il nome Testaccio, sia l'altro nomignolo usato familiarmente per questa zona, detta appunto Monte dei Cocci.

L'ex mattatoio

L'ex mattatoio è un altro dei punti nevralgici del quartiere; dopo la dimissione - nel 1990 - ne è stata occupata l'area del Borsino (allora abbandonata) diventata sede del Villaggio Globale, storico centro sociale, negli anni diventato epicentro delle culture antagoniste che ha dato spazio ai murales di molti street artist, come Stan & Lex, Diamond, Solo. Il più imponente è la cosiddetta Cappella Sistina della poster art, sotto un porticato esterno, con interventi di oltre 200 artisti di tutto il mondo. Testaccio infatti si visita anche attraverso le molte opere che punteggiano il quartiere e che raccontano i simboli della città. L'ex mattatoio oggi ospita anche importanti spazi espositivi gestiti dall'azienda speciale Palaexpo, mentre fervono i lavori in altri padiglioni abbandonati che ospiteranno una biblioteca e un polo culturale gestito dall'università Roma Tre, con anche una caffetteria; mentre alle spalle della struttura c'è la Città dell'Altra Economia, un'area dedicata alla promozione di un'economia a misura d'uomo, teatro di iniziative commerciali ma anche di eventi enogastronomici spesso natural oriented (davanti a uno degli archi di ingresso ci sono un paio di murales d'autore, Il domatore dei fiori selvaggi di Laura Luvi, e Giaguaro tra i fiori di Lucamaleonte).

Qui, c'è il Collettivo Gastronomico, uno spazio aperto, un po' area eventi dal calendario nutrito (val la pena consultarlo), un po' ristorante con un piacevolissimo spazio aperto. La proposta poggia su materie prime locali scelte nel rispetto dell'etica produttiva ed elaborate in ricette originali ispirate alla tradizione regionale. Ad animarlo c'è Marco Morello, che ha anche uno stallo nel nuovo Mercato di Testaccio, dall'altra parte della piazza: da quando è stato trasferito qui, ormai una decina di anni fa, il mercato è diventato un grande punto di riferimento nel quartiere, con aperture serali e tante iniziative.

Il Mercato di Testaccio

Il Food Box di Morello sforna supplì in vari modi, frittatine di pasta e altre specialità per uno street food d'autore. Il Mercato è infatti uno degli esempi più riusciti di mercati gastronomici capitolini, con banchi di vendita (non solo alimentare), servizi, e banchi di somministrazione che coabitano armoniosamente. Tra le varie insegne da non perdere ci sono Casa Manco, che offre un'ottima pizza a taglio riccamente farcita, e L'Angolo in teglia; Mordi e Vai della famiglia Esposito che prepara panini ripieni di alcune delle ricette più tipiche della tradizione: picchiapò, polpette di bollito, lingua. Ex macellai, oggi dispensatori di bontà rustiche dentro ciabattine.

La famiglia Mastroianni invece è impegnata da una parte al banco del pesce (al box 94, tra i banchi più longevi del mercato), dall'altra al Mastro Popone bistrot, dove elabora il pescato in fritturine e sughi di mare per condire tagliolini freschi. Pasta fresca (cruda o già cotta) anche nel piccolo pastificio artigianale Le Mani in Pasta, e da Altro (distributore del pastificio Renzo e Lucia). Una ventina in totale i banchi dedicati alla somministrazione, per tutti i gusti e le esigenze (vini naturali inclusi, al banco 18). Sull’ingresso di via Franklin, un murale di Lucamaleonte omaggia il quartiere di ieri e quello di oggi, con un’anfora frutto di un collage ispirato dalle parole di alcuni esercenti, a simboleggiare la ripartenza del rione, che mette insieme i cocci lasciati dalla pandemia. Dentro al mercato, invece, c'è un’opera di Alice Pasquini, che rappresenta una figura femminile colorata di turchese, mentre un intervento di Tellas è presente nell'hotel Re Testa, accanto al mercato (ma visibile dall'esterno, attraverso la teca di vetro), e nella vicina via Emanuele Torricelli c'è un altro lavoro di Lucamaleonte, un omaggio a Lando Fiorini che l’As Roma ha voluto per celebre cantautore capitolino.

Via del Monte dei Cocci

Usciti dal mercato, si supera l'ingresso dell'ex mattatoio e si prende via del Monte dei Cocci, passando davanti a Checchino dal 1887, un'istituzione del quartiere e un punto fondamentale della cucina capitolina: da quasi 140 anni gestito dalla famiglia Mariani, è il ristorante in cui è nata la coda alla vaccinara e tante ricette del quinto quarto. Quella stradicciola un po' infossata, che neanche sembra di stare in città, è da sempre una via frequentata dalla popolazione, sin dal Medioevo quando le grotte scavate nel monte ospitavano le osterie. In tempi più recenti, sul finire del secolo scorso, la strada era punteggiata soprattutto da discoteche e music club, animando l'anima godereccia di un quartiere vivace e pieno di sfaccettature, centro nevralgico della vita notturna

Ecco dove mangiare la migliore carbonara di Roma: Flavio Al Velavevodetto

Oggi accoglie alcune delle migliori espressioni della cucina romana: oltre a Checchino, c'è Flavio al Velavevodetto, primo locale di Flavio Di Maio che nel corso del tempo ha piantato altre bandierine a Roma e Milano; la sua è una proposta autentica e verace, capace di fare numeri da capogiro senza minimamente risentire dell'affollamento. Provato di recente, un martedì a pranzo in cui ha servito senza battere ciglio oltre 100 ospiti. Qualche passo prima c'è un nuovo arrivato: Taste'Accio di Vincenzo Mancino che ha sfruttato le grotte del monte dei cocci come cantine di affinamento di formaggi e salumi, in vendita e in somministrazione, con due lunghi tavoli sociali a corredo.

Via Galvani

La fine di via del Monte dei Cocci converge su via Nicola Zabaglia. Quando si arriva all'incrocio con via Galvani ci sono tre possibilità. Se si va a destra verso il confine del quartiere di via Marmorata, tra botteghe e trattorie di lungo corso (come Rio a Testaccio) sbuca l'Emporio delle Spezie, punto di riferimento per aromi, foglie, grani, sali, polveri da ogni parte del globo. Se invece si gira a sinistra, si torna verso l'ingresso del mattatoio, chiudendo il giro; sul marciapiede, tra locali più o meno giovanilistici, si incontrano anche Angelina (curata insegna di cucina romana con diverse sedi in città) e il suo spin off dedicato a cocktail e tapas Angelineria. Da lì è possibile ammirare anche The jumping wolf, imponente murale dello street artisti Roa, che rappresenta una lupa di 30 metri colta un attimo prima di fare un salto. La lupa è simbolo della città e della squadra di calcio omonima. Sempre su via Galvani le calligrafe di Domenico Romeo punteggiano una parete di 60 metri.

Piazza di Santa Maria Liberatrice

Se invece si attraversa via Galvani e si prosegue dritti su via Nicola Zabaglia, da qui in poi è tutto un brulicare di trattorie, le più note sono Felice e la Franschetta di via Masstro Giorgio. Noi però puntiamo verso piazza di Santa Maria Liberatrice. Poco prima di arrivare, sulla destra, c'è un'altra delle istituzioni di questa zona: Linari. Un classico bar-pasticceria di quartiere con un'ampia offerta di dolci classici da colazione, torte e biscotti da tè; tanti però preferiscono il salato. Il merito va alle pizzette rosse: sottilissime, con o senza mozzarella, sono irresistibili. Preparatevi, perché una sola non basta mai. Da Linari al Trapizzino non c'è che un centinaio di metri. Nata come pizzeria a taglio con il nome 00100, è qui che Stefano Callegari ha cominciato le sperimentazioni che avrebbero portato alla creazione della famosa specialità cui oggi è dedicata l'insegna: triangoli di pizza farciti con piatti succulenti, qualche supplì e una piccola scelta di cose da bere. Ancora pochi passi e si arriva da Conciabocca, aperto nel 2020, che mixa piatti tradizionalissimi ad altri più creativi, ma sempre con un'impronta da trattoria. Sulla piazza c'è un altro locale inossidabile: Remo. Uno dei regni della pizza al piatto alla romana: bassa e scrocchiarella, accompagnata da fritti e antipasti del caso: supplì, fiori di zucca, bruschette. Insegna sempre frequentatissima, è un grande classico.

Il Cremlino

Da quella parte della piazza si prende per andare all'inizio di via Marmorata, in quella piazza dell'Emporio dominata dal Cremlino: così viene chiamato il palazzo al civico 1, sin dal secondo dopoguerra abitato dagli esponenti della sinistra - da Giovanni Amendola a Massimo D'Alema dall'allora socialista Giuliano Ferrara a Enrico Letta: pranzi e incontri avvenuti tra i muri di quegli appartamenti sono parte della storia ufficiosa italiana. Subito sotto, c'è il Vinificio: ambiente giovane, sottofondo musicale (a volte più che un sottofondo), e una bellissima scelta di vini, per lo più artigianali e naturali: vino vero, cibo funky è il loro slogan. Opera di Alessandro Antognozzi, presentato come il “fratello punk” del Pastificio San Lorenzo, è un locale che funziona, tra serate speciali, bella mescita, cucina versatile; e sta facendo crescere una nuova generazione di appassionati di vino.

Via Marmorata

Siamo ormai su via Marmorata: alle spalle il Tevere, di fronte Piramide, nel mezzo un paio di insegne classiche (Consolini e Perilli), qualche nuovo locale, il bar pasticceria Barberini (buoni lieviti e qualche proposta di pasticceria contemporanea), e il grazioso Tram Depot: un minuscolo chiosco ricavato da un vecchio vagone di un tram, con tanti tavolini proprio accanto al giardino che circonda l'ufficio postale, ottimo esempio di architettura razionalista progettato da Adalberto Libera e Mario De Renzi. DI fronte la caserma dei vigili del fuoco con la facciata semicircolare, dell'architetto Vincenzo Fasolo.

Alle spalle, sul finire di Viale Aventino, dove un tempo c'era il Cafè du Parc oggi c'è Mostro: caffè, anche specialty, biscotti, lieviti, vini naturali e buoni tramezzini. Di fronte c'è Volpetti, storico negozio di specialità gastronomiche, che nel corso degli ultimi anni si è rifatto il trucco, ampliando il negozio a inglobare la Taverna Volpetti, su via Alessandro Volta. Negli ultimi mesi c'è  stato un cambio, con uno dei soci che ha rilevato le quote degli altri, staremo a vedere se il cambio di assetto coinciderà anche con un cambio di proposta oppure no. Giriamo l'angolo per andare verso Piazza Testaccio e L'Oasi della Birra, tra i primi locali per beer loves della Capitale. La nostra passeggiata continua zigzagando, girando l'angolo dove c'è Bucatino per raggiungere il panificio Passi. Tipico forno di quartiere dove passano tutti, soprattutto per la pizza bianca farcita con la mortadella, la rossa o quella con le patate.

Via Bodoni

Nella parallela via Giovanni Battista Bodoni c'è invece Piatto Romano, probabilmente uno dei fenomeni più sorprendenti delle ultime stagioni. Nato come trattoria rionale una quindicina di anni fa, è stato per anni un indirizzo di solida cucina romana e buon rapporto qualità prezzo. A un certo punto però, la nuova generazione ha cominciato a spingere forte sul vegetale, affiancato ai classici capitolini anche una scelta di verdure che ha pochi rivali in città: senape, malva, portulaca, misticanza “vera”, il tutto ravvivato da qualche spezia qua e là, ma senza esibizionismi. Il successo è stato travolgente, e oggi è meta di pellegrinaggi per quella via del campo che si affianca a pochi tocchi di modernità in un ambiente che nel nuovo corso non ha stravolto la sua identità, in cucina (provate i tagliolini all’aglio nero fermentato di Voghiera o il rognone doppia panna, togarashi e chinotto) come in sala, oggi rallegrata da qualche intervento cromatico. Ottimo esempio di come il cambio generazionale si possa inserire con fantasia e coerenza sull'impianto tradizionale. Trovare posto è sempre più difficile, ma il godimento è assicurato.

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