La casa consiglia: 1/4 di vino e 1 litro di gassosa. Con il tagliere del tarallaro. Si legge così sull’insegna del bancone della Taralleria Napoletana, da più di 80 anni un punto di ritrovo nel capoluogo campano per tutti gli amanti dei taralli. Oltre a fare acquisti, ci si può fermare per un aperitivo diverso dal solito, e assaporare un pezzo di storia della città.
Basta taglieri di salumi e formaggi, bruschette e tramezzini. Qui si manda avanti l’antica arte «tarallara» napoletana, iniziata con la vendita sui carretti in strada, finita con sette punti vendita e due laboratori, di cui uno dedicato al senza glutine e senza lattosio. La famiglia Leopoldo a Napoli è sinonimo di taralli, quelli ‘nzogna e pepe, ricchi di strutto e dalla consistenza friabile, ma ormai anche di quelli vegani. L’obiettivo è servire il cliente, assicurare il numero più alto possibile di palati soddisfatti: nessuno viene lasciato indietro, neanche i celiaci, che possono gustare comunque le specialità della casa.
I negozi targati Leopoldo sono belli, eleganti, dal look d’antan e raffinato: il bancone è una gioia per gli occhi con una sfilza di taralli salati e anche un comparto dolce, come il nasprato al cioccolato e al limone, il frollo e il roccocò. Per chi volesse acquistarli, ci sono le confezioni mix, con tanto di birra artigianale napoletana: si può fare anche shopping online, persino dall’estero, ma per un’esperienza originale meglio fermarsi direttamente ai tavolini all’aperto. Ci si accomoda, si ordina da bere, si scelgono i taralli preferiti e poi ci si rilassa di fronte a un aperitivo alternativo: calici di bollicine e Spritz vanno alla grande, ma per essere fedeli alla tradizione, allora si può optare per vino e gassosa, con le dosi raccomandate dal locale.
Tra i più venduti c’è il Foria 212, ricetta classica con sugna, sale, pepe e mandorle, e poi quello con impasto verde ai friarielli, il tarallo al formaggio o quello al pomodorino del Vesuvio. I vegani possono tirare un sospiro di sollievo: la scelta c’è ed è anche ampia. Oltre al classico con le mandorle, c’è quello al basilico, l’integrale e poi il tarallo alla canapa. Al posto dello strutto, viene usato l’olio extravergine d’oliva, che conferisce ancora più croccantezza all’impasto.
Ad avere l’idea fu Leopoldo Infante, che guidato da papà Gianni e con l’aiuto della sorella Nunzia, riuscì a coronare il suo sogno. Era il 1940, quando in un piccolo panificio sulla scalinata di Santa Barbara, Leopoldo si innamorò della figlia di un fornaio. Di lì a poco, i due convolarono a nozze e iniziarono una piccola attività, un carretto come tanti altri, che si distingueva per i suoi profumatissimi taralli. Alla fine degli anni ’60, Leopoldo decise di ingrandirsi, spostandosi in quella che allora era conosciuta come la via degli artigiani, via Foria: fu lì che nacque la Bottega del Tarallo di Leopoldo, mandata avanti poi dai figli e nipoti. Quel carretto ne ha fatta di strada, oggi è un brand di successo che dà lavoro a circa un centinaio di persone. E sforna taralli senza sosta.
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